mercoledì 9 maggio 2012

Dormono, dormono, sulla collina.

Non si tratta di pregiudizi. O almeno, io non li considero tali.
Per come la vedo, un pregiudizio fa riferimento alla stretta cerchia di quelle caratteristiche che ognuno di noi elencherebbe qualora qualcuno gli chiedesse di descriversi con pochi aggettivi. Qualche anno fa mi procuravo abbondanti dosi di autostima guardando ogni tanto pochi minuti (erano più che sufficienti, il rischio di overdose era dietro l'angolo) di un, come definirlo?, programma televisivo dove a esemplari stravaganti, o forse assolutamente normali, presumibilmente appartenenti alla razza umana venivano concessi un paio di minuti per convincere altri esemplari a contattarli in modo da cominciare imperiture e profonde amicizie. A ciascuno di loro veniva chiesto, tra le altre cose, di descriversi con tre aggettivi. Il campionario di quelli utilizzati era estremamente ristretto: ho scoperto che la razza umana si è ridotta a essere solare, semplice e divertente. O al più simpatica, lunatica e sincera. Al massimo si può puntare a qualcosa tipo allegra, carina ed estroversa.
Ecco, il mio guardare la gente non è minimamente legato al farmi pregiudizi. Non mi interessa figurarmi che qualcuno sia arrogante, solare, estroverso o sociopatico. O, per meglio dire, non è questa la parte divertente e su cui mi perdo in modo consapevole.
Viceversa, ciò che mi piace fare è costruirmi l'ambientazione in cui ogni persona potrebbe essere calata. Per farlo, ovviamente, non bisogna fare conoscenza. Sarebbe come quando qualcuno ci nomina sempre cosa combina con il fratello maggiore, il cugino, il collega, ... Col passare del tempo e dei racconti ormai ce lo siamo immaginati, alto sul metro e ottanta, castano, capelli ricci, il setto nasale un po' deviato, gli occhiali dalla montatura di tartaruga e un curioso tic che lo porta a tormentarsi il lobo destro quando è concentrato. E poi questa persona ci capita di conoscerla, e di tutte le cose che avevamo pazientemente e inconsciamente incasellato possiamo salvare solo i capelli ricci.
Quindi, dicevo, non bisogna fare conoscenza, a meno di essere disposti a mettere a soqquadro il profilo che si è pazientemente costruito. D'altro canto non è una cosa che si riesca a fare agevolmente con persone viste una volta e via, salvo che si tratti di personaggi effettivamente degni di questo nome. La condizione migliore prevede che si venga in possesso di pochi, marginali dettagli informativi, magari in momenti diversi, in modo da metabolizzarli.
Va da sé, tutto questo discorso teorico ha visto innumerevoli applicazioni pratiche effettuate dalla sottoscritta. Due, in particolare.
La prima riguarda Pa.N.T., la Pantera Nera del Treno. Si tratta di una donna dall'età approssimativa di cinquant'anni, quotidianamente strizzata in improbabili vestiti \ pantaloni di pelle \ camicie pericolosamente scollate \ giacchine a occhio di una taglia in meno del consigliabile. Ai piedi, di rigore, lo stiletto: decolleté, stivale, sandalo o quel che sia. Tutto, ma proprio tutto, monocromaticamente nero, compresi i capelli lunghi. Detta così, la cosa potrebbe avere anche un certo qual fascino fetish, e si noti il condizionale. Se non che la PaNT, come prima cosa, appena sale in treno e si siede, si toglie il maledetto paio di attrezzi di tortura, rivelando uno sgraziato alluce valgo su entrambi i piedi. Ma dato che scende qualche stazione dopo la mia, non l'ho mai vista ricomporsi, tranne qualche giorno fa: in quell'occasione, complici i primi caldi, la nostra PaNT non solo ha liberato le infelici estremità, esponendole al pubblico, ma si è incaponita nella propria opera di smantellamento, togliendosi cappotto e, ahimè, maglia, rimanendo così impietosamente in canotta. Impietosamente, sì, perché le braccia mollemente flosce e i molteplici rotoli che coprivano una senz'altro perfetta tartaruga non facevano certo bella mostra. Fin qui la discesa agli inferi. Ma poi uscimmo a riveder le stelle, perché in prossimità della mia stazione, a sorpresa, PaNT recupera maglia, stivaletti, cappotto, e in men che non si dica si ristrizza dentro al proprio esoscheletro corvino.
In che ambientazione si colloca, la mia PaNT? A me piace immaginarla la sera, sul divano, vestita con una psichedelica felpona anni Ottanta, mentre mangia il gelato col cucchiaio grande direttamente dalla vaschetta. Si potrebbe aggiungere che sta guardando l'ennesima replica del Diario di Bridget Jones, ma mi sembra scontato. Preferisco una speciale in prima serata di Medicina 33, con Luciano Onder che spiega le nuove tecniche per curare l'alluce valgo, e lei che, rassicurata, pensa sorridente a quello che aveva visto il giorno prima: un bel tacco 12 in vernice. Nera.
L'altro esempio riguarda una persona che non conosco, se non di nome e di vista, ma della quale ho visto l'ufficio e la scrivania dove lavora. La chiamerò Ctrl. Attaccato al muro c'era un calendario la cui foto era il fotogramma di un vecchio film di Totò, attore del quale credo di aver visto, se non tutti, buona parte dei film. Lì per lì mi son chiesta se anche Ctrl avrà riso per certe scene memorabili per le quali ho riso anch'io, chissà. Dopodiché l'ambientazione ha inglobato i R.E.M., un inossidabile disinteresse per il calcio, la musica elettronica e un libro, ma non saprei di chi.
Perché? Chissà.