mercoledì 28 maggio 2014

Doppia negazione

Così come capitava a molte persone che conosceva, quando si trovava obbligato a provare un sentimento particolarmente vivo, fingeva con tutti di provarlo con intensità grottescamente esagerata, in modo che nessuno sospettasse che in realtà, sotto la simulazione della dissimulazione, c'era del vero.
Ma non era altro, quel dissimulare, che un velo composto di tenebre oneste, dalle quali non si formava mai il falso, ma si dava piuttosto un qualche temporaneo riposo al vero.

venerdì 23 maggio 2014

Guanti verdi

Oggi sono incappata in una canzone che non conoscevo, in realtà avevo scelto di mettere come sottofondo tutto un album che non conoscevo, e stavo lasciando che mi facesse una compagnia non impegnativa. Però tra i brani che si susseguivano senza colpo ferire ne è arrivato uno più ostinato degli altri nel volersi distinguere, e così mi sono dovuta fermare per riascoltarlo, e per riascoltarlo, e ancora riascoltarlo. Avrei voluto condividerlo, perché mi stava instillando una tristezza pacata, sopportabile, calma, quasi bella. Ma non avrei potuto. C'era questa voce baritonale, così calda e morbida, che faceva venir voglia di piangere, e non mi arrischiavo a condividerla con qualcuno che in quel momento non fosse nello stato d'animo giusto.
Lì vicino avevo IMAF e LaPeggiore. Loro hanno apprezzato.
Giusto per non dimenticarmene, il brano è Green Gloves, e la voce è di Matt Berninger.

martedì 20 maggio 2014

Senza cattiveria

Pare che sbagliare sia umano, il che potrebbe rappresentare un'ottima scusa a priori. Non c'è quindi da stupirsi se ogni tanto affermo cose che non condivido, o per essere più crudi, non c'è da stupirsi se ogni tanto commetto errori. Per esempio, di recente avrei sostenuto che confrontare una persona con un'altra implicherebbe in qualche modo fare un torto come minimo a una delle due, a entrambe nella peggiore delle ipotesi. Che ridicola cantonata, è così ovvio che grande parte della conoscenza deriva dal confronto tra il noto e l'ignoto; qui potrei obiettarmi che andando indietro indietro indietro, il primo noto non avrà potuto essere confrontato con nulla, ma liquiderei subito l'obiezione facendomi osservare che forse il primo noto non era poi così noto, ma lo è diventato dopo il paragone con i successivi ignoti.
Quindi non creerò chimeriche creature di Frankenstein cercando di immaginare una persona con caratteristiche di un'altra per fantasticare sul "come sarebbe meglio se...", ciascuno resterà entità a sé stante, e io rimarrò l'inguaribile manichea che sono, andando incontro ad occasioni al vento con la mia calma indifferenza.

venerdì 16 maggio 2014

Soggettivismo ittico

Devo farti un discorso serio, è così che si dà inizio ai temporali.
Stasera LaPeggiore ne ha fatto cominciare uno, con un'osservazione su di me che alla fine non condivido, ma ciò non toglie che possa essere vera. Mi sento un po' un acquario e un pesce rosso, allo stesso tempo: l'acquario sono io, il pesce rosso è (sono?) l'io che cerca di spiegare me, ossia l'acquario, ma da una prospettiva soggettivissima e unicissima e distorta in modo del tutto particolare.
Un acquario in mezzo a un temporale.

lunedì 12 maggio 2014

venerdì 9 maggio 2014

Un colpo d'aria

Da quando si era trasferito in paese, tutti avevano inquadrato il signor Bronn come un uomo distinto, molto alto, estremamente asciutto, dal portamento quasi ascetico, dotato di una raffinatezza rara. Si diceva che un tempo si fosse occupato di commercio di opere d'arte, ma si trattava di semplici dicerie, perché in realtà quale fosse il suo passato nessuno avrebbe potuto dirlo con certezza. I più ipotizzavano che fosse vedovo, forse per quella sua predilezione per i vestiti scuri unita a una naturalissima riservatezza. Non si pensi però che tra i suoi desideri ci fosse quello di tenere lontana la gente dalla sua vita, tutt'altro: era infatti pieno di delicatezza e di calore umano e, per dirla con l'interpretazione che ne volle dare un giorno il farmacista, "lui sì che ha scoperto come vuole vivere la propria vita. E la vive proprio così, come la vuole".
La casa in cui viveva, da solo, non era particolarmente ricca però, a sentire coloro che vi erano entrati, era decorata con insolito buon gusto, particolare che forse aveva fatto nascere le ipotesi su un passato da commerciante d'arte. Anche Vivien, la signora che una volta la settimana si occupava di pulire quella casa peraltro sempre ordinata, non faceva che confermare come in ogni stanza si percepisse una particolare sensibilità nella scelta dei quadri, dei soprammobili, e di qualunque oggetto fosse stato adottato per rendere accogliente l'atmosfera in ogni ambiente, in particolare nello studiolo dove il signor Bronn scriveva. Sì, egli amava scrivere, trascorreva svariate ore a riempire fogli con pensieri e ricordi, senza seguire alcun filo logico o cronologico. Negli anni i fogli si erano accumulati, ordinati benché sciolti, sulla scrivania.
Capitò un giorno di maggio che Vivien, nel recarsi a casa del signor Bronn per le consuete pulizie settimanali, portasse con sé la propria figlia Judith, troppo piccola per rimanere a casa da sola. Non si trattava poi di una situazione così rara, e a Judith non dispiaceva girovagare per quelle stanze silenziose in cui aleggiava sempre un vago profumo di agrumi. Sua madre aveva già pulito lo studio, e dato che la stagione volgeva al caldo, aveva deciso di lasciare la finestra socchiusa. Era quella la camera preferita di Judith, che si divertiva a contemplare il bel pavone impagliato che sembrava fissarla da sopra la cassettiera, o a fantasticare di viaggi meravigliosi facendo ruotare il grande mappamondo in legno. Stava giusto immaginando tra quanti anni avrebbe avuto l'occasione di visitare tutti quei paesi misteriosi, quando sentì che il signor Bronn la chiamava dal soggiorno. Uscì di corsa dallo studio, lasciando la porta aperta, e fu proprio quando raggiunse il signor Bronn che si sentì un rumore secco, come di mille anni di tempo che siano andati in frantumi: troppe finestre aperte avevano creato una corrente d'aria che evidentemente aveva fatto cadere il pavone dalla sua posizione, mandandolo malamente a terra. Non solo: quel colpo d'aria fece volare ovunque, nel giardino e da lì per la strada e chissà dove altro ancora, gli innumerevoli fogli che negli anni il signor Bronn era andato accumulando. Tutti. Al vento. Per un colpo d'aria.
Alla vista di cosa aveva involontariamente combinato, Judith si sentì assalire dal bisogno di piangere. Disperata, con le guance segnate dalle lacrime e gli occhi da una solitudine incolmabile, cominciò a promettere al signor Bronn che avrebbe recuperato tutto, sarebbe corsa subito fuori a rincorrere fino all'ultimo foglio, era tutta colpa di quello stupido colpo d'aria...
"Siediti, non sentirti in colpa", le sorrise il signor Bronn, con una tenerezza antica. Sapeva bene, infatti, che prima o poi tutto sarebbe andato perduto, l'aveva previsto, fin dal giorno in cui era entrato in quello studio o, per chiamarlo come usava lui, in quel laboratorio.
"Povera Judith, era solo l'inevitabile momento atteso da anni".