lunedì 26 settembre 2016

In prima serata, il niente da dirci

Mi irrita essere incastrata tra l'insalata e il telegiornale, sì, mi irrita dover convivere con una tv accesa mentre sto mangiando. Non so perché lo facciamo, se per ottimizzare i tempi o per coprire il niente che rischiamo di avere da dirci.
È che a forza di sentire le peggior cose mentre ti chiedo di passarmi l'aceto, mentre mi dici che sono avanzate delle zucchine, a forza di vivere il quotidiano tenendo come sottofondo, indifferentemente, notizie tremende e gossip estivo, perdo il senso dell'ordinario, mi abituo, e io non voglio abituarmi, non voglio sfogliare giornate, mie e altrui, con annoiata noncuranza, non voglio trovarmi con pensieri scarsi e ridicoli e perbene davanti a situazioni serie, gravi, grottesche, terribili.

mercoledì 14 settembre 2016

Un coniglio a caso

All'imbarco mancava ancora quell'oretta che ci pareva inevitabile trascorrere bighellonando un po' in libreria. Stavo ormai per prendere il tascabile che Astair mi aveva appena consigliato, anzi, a dirla tutta l'avevo già in mano, diretta verso la cassa, quando l'occhio mi cadde su un classico che rimandavo da anni. Il classico vince, quasi sempre, così appoggiai il tascabile e mi comprai Sciascia.
Un paio di giorni dopo mandai a LaPeggiore un paio di frasi del libro, ormai terminato, che immaginavo le sarebbero piaciute, e che mi erano piaciute. Ma successe che più che le due frasi, a colpirla fu il fatto che anche lei stava leggendo il medesimo libro dopo averlo, come me, rimandato per anni.

LaPeggiore tende a dare significati alle coincidenze, rimproverandomi di barricarmi dietro un muro di scetticismo e iperrazionalità, così lo chiama lei.
Io non lo so se sia lei troppo votata al pensiero magico, o se sia io esageratamente diffidente. Dove io vedo il caso, lei sa trovare dei significati confortanti. Dev'essere rasserenante, immagino lo sia. Solo che per quanto ci abbiano provato, a farmi credere che dentro al cilindro c'era un coniglio o che la donna nella scatola veniva tagliata in due e poi riattaccata, per quanto ci abbiano provato a farmi immaginare che esistesse la magia, andava sempre a finire che c'era un imbroglio, o un trucco, se la parola imbroglio pare eccessiva.

Mi misi allora a ricordare tutti i libri che non ci è capitato di leggere assieme, perché per quanto ci abbiano provato, a farmi credere alla magia, un cilindro non fa uscire conigli, e una persona spezzata in due non si ricuce.

domenica 11 settembre 2016

Il mio amico George (26)

"Devi convenire, mia cara", mi apostrofa George, il libro ancora tra le mani, "che sbagliare è umano, e perdonare è divino. E io sono così dolorosamente umano, così completamente privo di qualità divine. Così disposto a convincermi che è davvero com'è scritto qui, le parole non sono come i cani, non basta un fischio a richiamarle.
Le parole, e i gesti, non sono come i cani".

domenica 4 settembre 2016

L'empatia in pensione

Quando al liceo si presentava, con scadenza mensile, il compito in classe di italiano, andava sempre a finire che sceglievo la traccia di letteratura: d'altronde fare il tema di storia significava candidarsi volontariamente a un quattro. Quanto al tema di attualità, poi...
Forse a segnarmi indelebilmente, condizionando ogni mia scelta successiva, fu un tema libero che ci toccò svolgere non al liceo, ma addirittura alle medie. Avevo dodici anni, e una delle persone in classe con me ebbe l'idea di scrivere riguardo la (allora) recente morte di Yitzhak Rabin. Ricordo che pensai qualcosa che oggi potrei riassumere con un "Ma de che?", accompagnato da un leggero fastidio che eguaglia solo quello che provo quando sento la gente in tram o alla posta che si compiace di come saprebbe trovare una soluzione al problema dei migranti, alla questione palestinese, al calo del prodotto interno lordo, al prezzo dei carciofi e all'alopecia incipiente di Antonio, il portinaio.
È poco frequente, lo riconosco, sentirmi parlare di argomenti di attualità, figuriamoci se potrei scriverne. E con attualità non mi riferisco mica solo ai problemi da prima pagina dei quotidiani, nossignore: la probabilità di sentirmi argomentare riguardo al protocollo di Kyoto è paragonabile a quella con cui potrei esprimere un parere sulla qualità dell'esecuzione di un tuffo da trampolino durante le olimpiadi. È poco frequente sentirmi parlare di argomenti di attualità non solo perché ad ascoltarmi mi annoio da sola (ci sono persone che sono portate per parlare di cose serie, e per essere ascoltate), ma soprattutto perché per parlare o scrivere serve (servirebbe) avere un'opinione, e per avere un'opinione bisogna (bisognerebbe) essere competenti, e per essere competenti è (sarebbe) necessario possedere delle informazioni attendibili.
Tutto questo preambolo per dire che non esprimerò un'opinione sull'ultima campagna del Ministero della Salute. Solo mi chiedevo se i tizi che l'hanno pensata, mentre erano seduti attorno a un tavolo a partorire gli slogan e le immagini che hanno intasato i social negli ultimi giorni, se questi tizi, dicevo, avranno almeno tentato di mettersi nei panni di coloro che quegli slogan li avrebbero letti e visti. Perché questa cosa dello sforzarsi di guardare un evento con gli occhi di un altro, per immaginare cosa penserebbe e come reagirebbe, questa cosa alla quale sarebbe comodo dare il nome di empatia, non dovrebbe essere solo un fattore di sopravvivenza in un contesto competitivo. Questa empatia dovrebbe essere anche un modo, magari non per dedurre l'esistenza di un'anima, sarebbe troppo, ma almeno per evitare di far sentire inadeguato chi vorrebbe o non vorrebbe per esempio essere genitore, chi vorrebbe o non vorrebbe essere figlio, chi saprebbe o non saprebbe cosa dire, ad Antonio, quando lo si sente dall'androne che si lamenta dei capelli che cadono.