sabato 19 gennaio 2013

Funghi velenosi

Nella cittadina dove vivo, diciassettemila anime suppergiù in sostanziale equilibrio dinamico, da qualche anno a questa parte si sta verificando un fenomeno alquanto singolare e altrettanto macabro: le imprese di pompe funebri stanno spuntando e crescendo come i funghi. Negli ultimi mesi la cosa è diventata ai miei occhi particolarmente evidente a causa dell'apertura di due delle suddette attività in una zona in cui ce n'erano già tre nel raggio di poche centinaia di metri. Ok, va detto che all'interno di questa zona si trova pure l'ospedale cittadino, ossia l'ingresso fornitori, ma il fatto che queste due new entries abbiano preso il posto di due bar, ossia di quell'esercizio pubblico che dovrebbe richiamare chiacchiere, vita, via-vai, profumo di brioches e caffè, mi ha fatto impressione. E mi sono chiesta se allora il mercato sia davvero così vasto. Allora sono andata a vedermi quanto si muore, qui nella bassa padovana. Magari scopro che adesso morire è cool, chissà. E invece pare di no, quello che trovo è che il numero di decessi, dal 2002 al 2010, è stato via via di 200, 207, 183, 175, 168, 231, 214, 205 e 236 unità. Insomma, alti e bassi, ma niente di eclatante nell'ultimo periodo.
Potrei chiedere al gestore dell'ultima che ha aperto, un apparentemente innocuo vecchino che abitualmente staziona dentro il proprio negozio, mani dietro la schiena, la posa tipica del pensionato che controlli come lavorano gli operai nei cantieri. Solo che lui guarda fuori. Verso il marciapiedi e la strada. Se n'è accorta mia mamma, per prima, divertita dall'atteggiamento di uno che sembra pensare: "Beh, nessuno che entri?". Un paio di giorni dopo sono passata per quella via, e in effetti l'omino era lì, paziente, ad aspettare.

venerdì 18 gennaio 2013

Titolo: questo post è senza titolo

Una sera di alcuni mesi fa stavo andando in stazione in compagnia di Cinque. Nel passare davanti a una libreria mi fece una domanda abbastanza singolare, sicuramente una cosa che non mi aveva mai chiesto nessuno e che dubito qualcun'altro mi chiederà mai: volle sapere se avevo un titolo preferito, un titolo di un libro che considerassi particolarmente poetico, ben riuscito, invitante. Insomma, bello. Il titolo, non la trama o lo stile di narrazione, anzi, se si trattava di un libro che non avevo letto e di cui non conoscevo l'argomento era meglio. E non doveva essere una cosa da improvvisare lì al momento, fammi riflettere un minuto, vediamo se mi viene in mente niente: se mi era capitato di leggere un titolo e di trovarmici affascinata e di rendermene conto, bene, sennò non aveva importanza.
Per la domanda in sé e per come la disse, sono abbastanza persuasa che solo Cinque avrebbe mai potuto pensarla. Anzi, probabilmente un'altra persona all'altezza la conosco, ma non mi spingerei oltre, con l'elenco. La bizzarria è una dote riservata a pochi privilegiati.
Va da sé che il titolo ce l'avevo, è un titolo a cui penso relativamente spesso, e non so perché non mi venga da leggere il libro, forse per paura che la storia non sia altrettanto riuscita. E' La pioggia prima che cada. Sarà il congiuntivo, sarà la pioggia, sarà che non ne ho la più pallida idea, del perché, però mi affascina. Fine. Il titolo di Cinque era purtroppo quello di un libro che avevo già letto, e che mi è piaciuto anche, ma che, in quanto già letto, non rientrava più nelle regole del gioco.
E poi ho pensato che non avrei mai dovuto leggere Se una notte d'inverno un viaggiatore.

lunedì 14 gennaio 2013

Tertium datur.

Aprì velocemente la portiera dell'auto, gettò la ventiquattrore sul sedile del passeggero e, come sempre succedeva nelle giornate di pioggia torrenziale, si chiese quale fosse il metodo più efficace per cercare di bagnarsi il meno possibile: chiudere l'ombrello, buttarsi dentro l'auto con l'ombrello fradicio e tirare rapidamente la portiera, o piuttosto aprirla al massimo, sedersi allungando il braccio sinistro in fuori, a reggere l'ombrello aperto, aiutarsi con il destro per chiuderlo, sistemarlo dentro l'abitacolo infradiciandosi inevitabilmente le gambe, per poi finalmente chiudersi al sicuro dentro l'auto. Ma che importanza aveva, pensò infilandosi in tasca le chiavi in modo da non avere altri impicci in mano, dopotutto si era schizzato da solo calpestando nella fretta un paio di pozzanghere che si erano rivelate essere abbastanza profonde da inzuppargli scarpe e calze, un automobilista l'aveva inzaccherato passando a tutta velocità rasente il marciapiedi e, come se non bastasse, rifletté mentre indugiava con la mano sulla maniglia, il vento gli aveva rovesciato l'ombrello appena lui l'aveva aperto dopo essere uscito da sotto un portico affollato di gente lenta a muoversi, che lo intralciava nel suo tentativo di recuperare il tempo perduto in ufficio a sistemare le ultime pratiche. No, concluse, ormai una scelta o l'altra non avrebbe fatto la minima differenza. Richiuse la portiera e con essa l'ombrello, che sistemò nel baule, premette il pulsante di chiusura automatica di tutte le portiere, attraversò a piedi la strada e andò a prendersi un caffè al bar. Magari nel frattempo la pioggia sarebbe passata.

lunedì 7 gennaio 2013

In memoriam.

E' ormai consuetudine, nella mia famiglia, far celebrare una volta all'anno una messa in ricordo dei miei quattro nonni. La cosa si ripete ormai da anni, sempre nella chiesetta del quartiere, e la data che si tiene fissa è quella del 6 gennaio. Quindi, semel in anno, mi reco anch'io tra quelle quattro mura, accettando supinamente l'inevitabile ricorrenza.
Sia chiaro, benché il gesto in sé non mi trovi su un piano di particolare condivisione, trovo gentile e degno di molto rispetto il ricordo che i miei genitori tributano ai parenti. Ma, ahimè, non è questo il punto. In mio problema, infatti, è di mera natura uditiva. Anima infatti la messa un allegro coretto composto da, a spanne, una dozzina di persone di buona volontà ma di non altrettanto buone doti vocali. A queste limitazioni si aggiungano delle pretese che io bollerei senz'altro come peccaminosa superbia: il coretto, infatti, si ostina, anno dopo anno, a proporre brani che risulterebbero impegnativi anche per il coro polifonico dell'arena di Verona, per dire il primo che mi viene in mente. Il risultato è straziante, sui miei nervi ha un effetto peggiore delle unghie che grattano sulla lavagna. E più loro si sforzano (quest'anno c'era una vecchietta con pelliccia e unghie laccate rosso fuoco che mandava degli acuti che avrebbero fatto comodo a un accalappiacani) e più io soffro, tanto che per minimizzare i danni arrivo sempre con quella manciata di minuti di ritardo che mi permette di saltare a pie' pari il primo canto, mi piazzo in piedi vicina alla porta e appena la faccenda è sistemata me ne esco velocissima in modo da evitare pure il canto finale. Non è cattiveria, è istinto di sopravvivenza.
Va detto però che i miei problemi uditivi non sono solamente di natura musicale. A celebrare, infatti, c'è il pretino che anni fa è stato assegnato alla parrocchia, una persona dotata di capacità dialettiche così infinitesime da poter essere paragonate credo solamente al suo livello culturale. La serie di ovvietà e di sciocchezze che riesce a inanellare da dietro quel microfono mi inducono ogni anno a cercare di distrarmi  in ogni modo, cosa che mi riesce quasi senza soluzione di continuità, dal mio ingresso alla mia fuga. Quasi. Ogni tanto infatti mi distraggo dal mio stato di distrazione, e percepisco frasi che, anno dopo anno, in genere fanno riferimento, vista la data del 6 gennaio, ai re magi et similia. Ieri mattina, per esempio, ad un certo punto ho sentito che stava dicendo qualcosa relativo al fatto che Erode non avrebbe potuto essere salvato, lui che da lì a un anno avrebbe fatto uccidere tutti i bambini di ... eccetera. Avrei voluto alzarmi e chiedergli a gran voce di cosa accidenti stesse blaterando, ma ero già in piedi, quindi l'effetto da aula di tribunale non sarebbe stato perfetto. E da lì poi una serie di cose storicamente fasulle che tuttavia la platea di anziane pellicce ascoltava devotamente, o almeno sembrava ascoltare. Così, tra una conta delle mattonelle e un pensiero al mio imminente trasloco da organizzare, mi son messa a pensare a cose mie fino a che, mentre gironzolavo pigramente con lo sguardo sugli astanti, gli occhi non mi sono caduti su una nuvolotta rosa e mi venisse un accidente se non l'avevo vista anche l'anno prima, inconfondibile! Una signora dall'età indefinibile (senza scherzi, non mi stupirei né se mi dicessero che ha trent'anni né se mi dicessero che ne ha cinquanta) che vedo ogni tanto in giro per il quartiere indossava un berretto (nel senso che il termine berretto è quello che a mio parere più gli si avvicina, ma temo che in questo caso bisognerebbe coniare un nuovo vocabolo) enorme, voluminoso come non mai, una cosa estremamente ridicola ma della quale, evidentemente, lei va molto fiera, se si ostina a tirarla fuori per la domenica (quando la vedo per il quartiere non ce l'ha, ne sono certa, non potrei non accorgermene). La stessa signora è poi scattata in piedi per occuparsi della raccolta delle offerte, muovendosi con una diligenza che mi faceva ricordare il modo un po' buffo con cui le bambine precisine sistemano le pentole nelle loro cucine giocattolo, nulla dev'essere fuori posto e gli angoli delle presine devono coincidere con gli angoli dei mobili.
Insomma, stavo soffocando di claustrofobia.
Poi niente, il pretino ha ricordato nelle preghiere i nomi dei miei nonni e dopo un po' me ne sono uscita. Lì mio papà ne ha approfittato per fermarlo e lasciargli l'obolo (devo ammettere che non ero presente, e meno male), cosa che in genere si fa prima che la messa venga celebrata, o almeno così mi risulta, ma nei giorni prima il pretino non risultava raggiungibile di persona, quindi la messa per i nonni era stata chiesta per intercessione del fido sagrestano. Dicevo, mio papà stava per dare l'offerta al pretino per la messa appena fatta, quando quello gli chiede quando e per chi deve celebrare qualcosa. Ecco, quando questo aneddoto finale mi è stato riportato, allora ho capito che le doti dialettiche del pretino sono infinitesime non solo come la sua preparazione, ma anche con la sua coscienza di sé e di quello che fa. Amen.

mercoledì 2 gennaio 2013

Random swim

Potrei passare ore a guardare con che eleganza e sinuosità di movimenti si colora l'acqua bollente di una tazza, quando vi si immerge la bustina del the.
Peccato che la cosa duri pochi secondi.