martedì 23 agosto 2011

Equilibrio dinamico

Spesso e volentieri il mio sfogatoio è la bici, un bel giretto distensivo, stancante, rilassante e via. Con il tempo è diventata talmente un'abitudine, che ha perso un po' del suo non so che. Voglio dire, ormai è difficile che quando vado in bici pensi "Oh, sto andando in bici". Ci vado e basta.
Tant'è, l'altro giorno stavo pedalando e mi sono resa conto che lo stavo facendo. Per certe attività c'è chi dice che si riesce a farle bene solo se non si pensa troppo a quello che il corpo sta facendo, perché se dovessimo pensare a coordinare ogni singolo movimento in modo completamente cosciente, sarebbe solo un gran caos. Credo c'entrino i sistemi piramidale ed extrapiramidale, ma chi se ne ricorda più... Ma il problema non è che mi son messa a pensare a quello che avrei dovuto fare per non cadere, piuttosto il problema è che non riuscivo a incontrare la minima difficoltà, e mi son trovata a rimpiangere un po' la sensazione fisica che avevo le prime volte che andavo in bici. Il sentore che la caduta era inevitabilmente prossima, ma forse non così inevitabilmente, la sensazione di equilibrio instabile sì, ma non troppo. Però un pochino, quel poco che è quasi piacevole.
A volte avrei voglia di queste mini sfide, un po' fisiche, un po' mentali, un po' emozionanti, un po' preoccupanti ma un po' eccitanti. O forse lo dico solo perché so che questa è andata a buon fine.

martedì 16 agosto 2011

La luna ed i grilli normalmente mi tengono sveglia

Mi piacciono le parole, possibilmente che non abbiano un significato immediato, quindi che all'inizio rappresentino solo un suono. Poi magari posso perdermici a pensare cosa vogliano dire. Le migliori sono quindi i cognomi delle persone e i nomi dei paesi.
Qualche giorno fa ero in treno, e stavo andando a Merano. Potrei soffermarmi almeno su tre aspetti del viaggio: le persone in treno, i mondi di distanza tra le diverse stazioni, i nomi dei paesi.
Tralascio il primo, anche se sentire una ragazza che racconta al moroso che le hanno fatto leggere "una poesia, insomma... un pezzo del Barbiere di Siviglia che, sì alla fine è un dramma... teatrale!, e in questo brano si parla del chiacchiericcio, perché insomma il chiacchiericcio insomma è un po' come il vento, e così." rappresenta sempre uno spunto di riflessione. Ma va specificato che a farglielo leggere è stato il capoufficio o una figura del genere, una persona dall'evidente cultura enciclopedica, il quale, a sentire le sagge parole di questa gradevolissima e involontaria compagna di viaggio "non ha vita sociale, cosa vuoi, non ha amici, non ha la morosa, cosa vuoi che faccia? Legge! (Nel senso del verbo leggere, non del sostantivo, n.d.a.)". Eh, a volte la gente ha abitudini singolari.
Per quanto riguarda le stazioni, che dire... In poche ore mi è davvero sembrato di aver attraversato tempi e luoghi remotissimi. Dopo un'oretta trascorsa a lasciarsi alle spalle stazioncine desolate e abbandonate, spesso a binario unico (sì, unico), scendo per il primo cambio: stazione di Nogara. Teoricamente trattasi di stazione relativamente importante, essendo l'incrocio di linee che vanno a Verona, Bologna, Mantova, Padova, Brennero... Fatto sta che all'arrivo mi sono sentita calare nella parte della povera Claudia Cardinale all'inizio di quelle cinquanta ore (percepite) di film che è C'era una volta il west. Se non fosse che lì non c'erano decine di persone che caricavano e scaricavano cose. Ma il vuoto circostante era quello.
Ah già, l'altra differenza è che non mi chiamo Claudia.
Campi polverosi da una parte, binari in mezzo, niente polveroso dall'altra, cielo abbacinante, cicale. Ho già nominato la sensazione di polvere ovunque?
Tempo un paio di orette e, dal treno preso nel frattempo, si cominciano a vedere paesotti montanari (e dintorni) tutti con il loro verde rassicurante, le fioriere fuori dalle biglietterie, cielo azzurro dotato di nuvolotti. Dopo una successiva mezz'oretta, salita sul terzo e ultimo treno, si susseguono stazioni che hanno un che di fiabesco. E spesso di vagamente poco italico, se vogliamo, quantomeno nei nomi.
Oh, i nomi. Al di là delle inquietanti e adiacenti stazioni di Mori e di Peri (che lette con l'accento sulle rispettive "i" mi facevano pensare che avesse tirato le cuoia in zona qualcuno di straordinariamente importante, tanto da meritare ben due stazioni e nemmeno il nome. Una specie di ipse. O di manzoniano "ei"), una volta passata Bolzano ci si immerge nel fiabesco. E nei meli, certo. Meli meli meli meli decine centinaia di meli meli meli, tanto da farmi sospettare che il mondo si nutra esclusivamente e inconsapevolmente di mele, che ci verrebbero offerte non solo sotto forma di mele, ma camuffate da qualsiasi cosa, dal Buondì Motta al sushi. Sono tutte mele. Altrimenti non mi spiego quella quantità smisurata di meli meli meli meli - stazione - meli meli meli... Ma tornando ai nomi, già Ponte d'Adige e Lana Postal mi sembravano uscire da un libro dei fratelli Grimm. Il culmine è stato raggiunto dalla stazione di Settequerce. Ero quasi commossa. Settequerce. Ma chi l'avrà deciso il nome, Tolkien? E soprattutto, nessuno mi toglierà dalla testa che il sindaco di un paese con questo nome sia per certo un gufo. Saggio e con gli occhiali.
E se non lo è, sicuramente il sindaco impostore si fa segretamente consigliare da un gufo. Saggio e con gli occhiali.

mercoledì 10 agosto 2011

Le parole che non voglio dire

Rivoglio il piuttosto. Ma quello che voleva dire proprio "piuttosto", non "e anche", o "oppure". E mi faccio promotrice dell'eliminazione dei quant'altro. Le fattispecie spero che abbiano esalato già l'ultimo respiro. Assieme ai fondamentalmente e agli assolutamente, che giacciano sotto montagne di sostantivi, avverbi, preposizioni e silenzi.