mercoledì 29 giugno 2016

Il mio amico George (24)

"Aveva insistito perché dessi un'occhiata alla lista che, a suo parere, includeva la musica migliore che fosse uscita di recente. Erano i brani che ascoltava più volentieri, mi aveva detto."
Nel raccontarmi l'episodio, George si sofferma cercando di fare mente locale sui titoli che componevano quell'elenco. Non lo definirei certo presuntuoso, George. È solo lunatico. Sì, lunatico, e stravagante a tratti.
"Continuavo a ripetermi che dopotutto si trattava di una persona con più Marlboro in tasca che pensieri in testa. Eppure, nonostante questa evidente attenuante, ascoltando quella roba riuscii a pensare solo a due cose. La prima: era una fortuna che fossi da solo, nel momento in cui stavo passando in rassegna un'antologia così vuota e strampalata. La seconda: perché ci teneva così tanto a dare quell'immagine, di sé?, di uno che, emozionalmente parlando, vive quotidianamente al di sopra delle proprie possibilità?"

domenica 26 giugno 2016

Il gol di Jacopo

Dieci di mattina di un sabato come un altro, se non fosse che sto prendendo un treno che a buon diritto si definisce interregionale.
È importante, ogni tanto, chiudersi per un po' di tempo in un qualche mezzo pubblico a caso. Mica tanto per il Viaggio o per il significato che a esso si accompagna, nossignori. Piuttosto perché è un po' come andare allo zoo: si paga un biglietto, si entra, e si ha l'occasione di osservare comportamenti di esemplari faunistici ai quali sarebbe buona regola non gettare noccioline.

Se nei quattro posti adiacenti a quello che hai scelto si siede la più classica delle famiglie (madre, padre, ragazzina adolescente e bambino spannometricamente undicenne), fai fatica a prevedere immediatamente il livello di rumorosità che accompagnerà la prossima ora: potrebbe succedere tutto e il suo contrario. Non sono i quattro regazzetti indemoniati e portatori sani (?) di inutili urla, né il poker di cinquantenni ringalluzzite dalla gitarella del finesettimana. Quindi aspetti, un po' sospettosa, certo, e indecisa: sarà il caso di recuperare gli auricolari, o si può confidare nella buona sorte e tentare di evitarsi la fatica di cercarli, già sapendo che saranno sicuramente imbrigliati e seppelliti nel fondo più inaccessibile della borsa?
Ma la Pigrizia ha delle ragioni che la Ragione non può comprendere, quindi ciao auricolari.
Le cose si mettono bene: la ragazzina guarda fuori dal finestrino, tranquilla, e il bambino gioca col tablet, dai commenti che fa dev'essere concentrato su un videogioco di calcio. I genitori parlottano. Tutto regolare. Tutto sostenibile. Tutto ...
Suona un cellulare. È quello della madre.
E si rompe l'incantesimo.
Meucci, pover'uomo, avrebbe dovuto spiegare meglio l'essenza della propria invenzione più famosa, che non è tanto quella di poter parlare a distanza, ma piuttosto di poterlo fare come se questa distanza non ci fosse. In altri termini, col telefono viene meno l'esigenza di urlare. A me sembra una cosa geniale e fondamentale. Tanto fondamentale quanto, evidentemente, sconosciuta.
E così vengo a sapere che la mia involontaria compagnia di viaggio si è candidata alle recenti elezioni amministrative raccogliendo peraltro un numero di voti non irrilevante ma questo non significa certo che lei intenda togliere tempo al proprio lavoro nel quale è giusto dirlo le si stanno aprendo delle belle opportunità di carriera e di crescita professionale e per la prossima settimana sarà senz'altro necessario organizzare una riunione con Tizio e Caio perché prima non è stato possibile dato che la settimana scorsa era in ferie in Grecia però eventualmente già questa sera stessa ci si potrebbe incontrare anche solo per un aperitivo tanto comunque dovrà uscire di casa per accompagnare Jacopo alla festa di compleanno di una compagna di classe e prima senz'altro bisognerà riuscire a prenderle un regalo almeno per ...
"Gol!"
"Jacopo! Zitto! Non urlare che dai fastidio!"

Ecco. Avrei voluto, sinceramente, farmi carico di un'istanza difensiva nei confronti del povero Jacopo e della sua piccola manifestazione di entusiasmo, son quaranta minuti che è lì che spippola silenziosamente col tablet, ha fatto un gol, uno!, s'è silenziosamente impegnato, partendo dalle retrovie, con silenziosa tenacia e silenziosa umiltà, c'è riuscito, chissà il prossimo quando gli ricapita, e tu è da mezz'ora che berci e starnazzi... Ma in quel momento un bip sinistro ha fatto capire a tutti che la batteria di uno strumento elettronico era ormai scarica.
Se ci fosse una Giustizia, a tirare le cuoia avrebbe dovuto essere senz'altro la batteria del telefono della madre, che invece continuava indefessa a elargire energia.
Così, di fronte a un Tribunale tanto parziale, mi sono tenuta la mia arringa e ho raccattato gli auricolari.

giovedì 16 giugno 2016

Non sarò breve

Trascorri una settimana senza vedere una certa persona. Penso a una settimana, ma potrei dire anche un giorno, o due, o un mese, ma sì, va bene anche un mese. Trascorri questo tempo, dico, e capisci che rispondere a un generico come stai? si accompagna a momenti di comprensibile imbarazzo, mentre sei lì che cerchi una risposta plausibile, non troppo lunga, non troppo breve, e sensata, manco a dirlo, possibilmente sensata.
Il rischio aumenta terribilmente se non di una settimana o di un giorno o di un mese si tratta, ma di un anno e mezzo.
Daff sì è tolto agilmente dall'impasse, concedendosi solo pochi secondi di silenzio, prima di riconoscere che non sarebbe stato in grado di condensare tanto tempo in poche parole.

mercoledì 8 giugno 2016

To be titled

Le sue dita avrebbero percorso ancora innumerevoli tastiere, ma senza mai più farne uscire le note di quel brano.
Se l'era promesso anni prima, quando ancora si compiaceva nel sentirsi chiamare Maestro, e da quel giorno mai era venuto meno all'impegno preso. Quanti pianoforti avesse suonato, da allora, su quanti sentieri di ebano e avorio si fossero fatte strada le sue dita, forse egli stesso non sarebbe stato in grado di ricordarlo. Ciò che avrebbe ricordato, invece, era la dedizione con cui aveva evitato che quei percorsi bianchi e neri lo conducessero, magari approfittando di una sua piccola distrazione, a muoversi nuovamente sulle orme del brano che si era precluso.
Era dai tempi del conservatorio che non ritornava a Padova. Tutti, in famiglia, avevano camminato per quei corridoi dove risuonavano arpeggi, accordi e stonature: suo padre per primo, e poi suo fratello, diplomatosi proprio nell'anno del centenario. Era quindi toccato a lui, il più naturalmente dotato e scostante della famiglia, e a chiudere il cerchio Sara, sua sorella. Ma lui se n'era già andato a Torino, a farsi chiamare Maestro con una cadenza che un poco alla volta aveva imparato a sopportare.
Sbirciando oltre le tende della camera d'albergo vide un cielo tappezzato di nuvole che avevano tutta l'aria di voler mantenere le sinistre promesse di cui sembravano essersi fatte carico. Vide anche che in venticinque anni di assenza la sua città aveva avuto modo di farsi trovare diversa da come lui l'aveva lasciata, e lo sferragliare del tram che stava passando poco lontano gliene diede ulteriore conferma.