lunedì 23 gennaio 2017

Le mani avanti

La strada, all'ora di pranzo, è sempre libera, e comunque non sono in ritardo, e so anche che non avrò problemi a parcheggiare e arriverò perfettamente puntuale. Ma allora da dove sale il nervosismo, la preoccupazione che qualcosa andrà storto? Mi rispondo dicendomi che il pessimista è uno che mette le mani avanti, attività per la quale peraltro ho sempre dimostrato una certa predisposizione, e alzo la musica, ma le mani, sempre loro, fredde e sudate, mi ricordano che c'è un tempo per tutto, e questo non è il tempo della razionalità: non devo raccontarmela, solo l'inconscio è innato, la consapevolezza arriva dopo, è come guardarsi da fuori, vedere il posto dove tutto troverebbe una soluzione ma non esserci dentro, guardare un acquario, non ci posso entrare, posso solo guardare, anche se l'acquario sono io.


giovedì 19 gennaio 2017

Mica Van Gogh

Settantadue dipinti. Senza contare le poche decine di disegni. Settantadue dipinti in settanta giorni. Ogni tanto mi torna in mente questa cosa, che non so se sia follia o qualcosa che le si avvicina molto, questa cosa di aver dipinto settantadue quadri in settanta giorni, gli ultimi settanta giorni. Mi torna in mente quest'urgenza di raccontare, raccontare, coi colori in questo caso, parole in forma di pennellate a dar sfogo al desiderio di esplodere, di porre termine a una silenziosa pace inaccettabile.



domenica 15 gennaio 2017

Mentre dormi

Svegliarmi, da piccola, quando tutti stavano dormendo mi dava una sensazione particolare, una sorta di se adesso dovesse succedere qualcosa, sarei l'unica ad accorgermene. Mica che quel qualcosa dovesse essere per forza brutto o bello, era semplicemente un qualcosa potenziale, che io sola avrei vissuto.
Ora al massimo potrei trovare George che dorme, ma tipicamente lui si sveglia sempre una decina di minuti prima di me. E allora per riuscire a rivivere quella stessa sensazione mi piace, d'inverno, uscire la domenica mattina, presto, quando le strade sono vuote e la luce fragile. Quando, come stamattina, la superficie del fiume che corre lungo la strada è ancora ghiaccio addormentato e, senza scorrere, non fa rumore.
Così lo guardavo e pensavo che a breve quel ghiaccio si sarebbe sciolto, e che non sarebbe stato più possibile vederlo; forse verso sera si sarebbe riformato, ma la luce sarebbe stata diversa, il giorno non sarebbe più stato nuovo, le cose e le ore successe l'avrebbero consumato. In modo simile il mare, all'alba, ha un carattere diverso da quello che mostra al tramonto: magari la luce è la stessa, magari la spiaggia è ugualmente deserta, gli scogli non si sono spostati, ma è come entrare in una stanza prima dell'inizio e dopo la fine di una festa, il vuoto e il silenzio non sono gli stessi, nel mezzo qualcosa è stato usato, esaurito, bisogna ricominciare.
Il mattino, col ghiaccio assopito e i rumori cristallizzati, il mattino ricomincia.


venerdì 13 gennaio 2017

...si sgonfiano gli istanti.

Mi scrive, R:, che rincasando ha trovato la coinquilina in lacrime, commossa per quanto stava accadendo in televisione, a uomini e donne (la maiuscola non mi esce, vabbè).
R: e io in questi anni abbiamo imparato che ad accomunarci non è solo un identico senso dell'umorismo, o l'atteggiamento verso i luoghi affollati, il cibo degli aerei, i libri della Kinsella o l'astrologia. A renderci simili sono anche le reazioni verso cose tipo la coinquilina commossa davanti a canale 5. Reazioni che includono, in ordine temporale:
1. riluttante scetticismo
2. amara presa di coscienza
3. ilarità sguaiata
4. sottile invidia.

Riluttante scetticismo: eh sì, perché in fondo mica ci ho mai creduto che esista davvero qualcuno che riesce a guardare cose del genere. Ma poi penso ai cinepanettoni e allora vabbè, mi arrendo, ciao scetticismo, tornatene pure nel tuo migliore dei mondi possibili, lascia spazio all'amara presa di coscienza.
Amara presa di coscienza: hai ventisei anni e te ne stai davvero davanti a uno schermo a versare lacrime. Voglio dire, tu sei vera, non ti sto guardando a mia volta attraverso uno schermo, tu sei reale, e ti stai realmente commuovendo. Per qualcosa che non esiste. Ho trascorso anni pensando che fossi tu a non esistere, e invece ti trovi davanti a me in carne, ossa e fazzoletti. Potrei mettermi a piangere a mia volta, oppure lasciare che il pianto ceda il passo a una ilarità sguaiata.
Ilarità sguaiata: ovviamente non in presenza della suddetta coinquilina ma, in separata sede, tra R: e me. Eppure, in quelle grasse risate, non riusciamo a non avvertire entrambe, amarognola come la fogliolina di rucola che non avevi notato, una sottile invidia.
Sottile invidia: magari sto usando termini esagerati, magari ci sono delle parole più adatte di "sottile invidia". Sì, è probabile che io stia indulgendo all'eccesso quando decido di usare "sottile" come aggettivo.

Ora: io non so se quelli sono veri o li pagano, o magari sono veri e li pagano. Ma quel che so è che ce li vendono per veri. Voglio dire che stanno lì a raccontare di un mondo in cui uno, uno qualsiasi, uno normale, a un certo punto deve dire a una che la ama e trova assolutamente normale, anzi bello, anzi poetico, anzi geniale, farlo davanti a dieci milioni di italiani.
A me, un mondo così, fa una tristezza bestiale. Non voglio che esista, non voglio che la gente pensi che esiste, mi indigna pensare che qualcuno voglia farci credere che esiste. Non so come spiegarlo, ma se tutto diventa show, se anche le pieghe più private della vita passano dall'altra parte, nel video, e nemmeno confezionate come storie, ma vendute come vita vera, da questa parte si fabbrica il vuoto pneumatico, si scolano i cervelli, si svuotano le parole, si sgonfiano gli istanti.
- A. B. -

lunedì 9 gennaio 2017

Inizi

Inizia a farsi giorno, dal finestrino.
Incurante del ciccione che russa a bocca aperta dal sedile di fronte, il giorno inizia a farsi, incurante anche degli orizzonti esasperatamente attuali che si alternano a panorami di campi fumosi e alberi sparuti che, per quel che ne sa lui, per quel che ne so io, potrebbero essere stati catapultati lì da un centinaio di anni fa.
Continuo a pensarlo, come certi ritornelli che ti si attaccano la mattina appena sveglio alla memoria e fino a sera non c'è modo di spegnerli, continuo a pensare che inizia a farsi giorno, forse dovrei concentrarmi sul come organizzare la giornata, ma i pensieri preferiscono rotolarmi giù per il pendio dell'involontarietà, e andarsene a finire in ricordi di grammatica latina, ai verbi incoativi, certe parole ti si attaccano alla memoria e non c'è modo di spegnerle, i verbi che indicano l'inizio di un'azione, cominciare a invecchiare, addormentarsi, ma qual è la linea di confine tra l'addormentarsi e il dormire, tra il cominciare a invecchiare e l'essere vecchi?, dov'è il prima, dove il dopo o il troppo tardi?

È giorno.



sabato 7 gennaio 2017

Alba

La meraviglia pungente e lacerante della luce, nel mattino gelido, della luce del sole che profila le nuvole a oriente, della luce che sembra una specie di conforto: ritrovarla, anche oggi, come ieri.
La meraviglia, e il conforto, ma assieme la fitta di qualcosa di irrimediabile.
Smarrirsi.


"... piangono solo con gli occhi, come bicchieri pieni fino all'orlo di tristezza,
e impassibili mentre quella goccia di troppo alla fine li vince
e scivola giù dai bordi, seguita poi da mille altre".
- A.B. -

domenica 1 gennaio 2017

Senza vederne gli occhi

Sperimentare, come metodo principe per capire.
Potrai avere paura di prendere un aereo o un ascensore, e ti ascolterei qualora me ne parlassi, ti ascolterò, quando me ne parlerai, ma non capirò, non fino in fondo, mi impegnerò ad ascoltare e immaginare, come sempre, amo ascoltare e immaginare, ma non saprò capire, non potendo provare.
Come se guardassi un volto ma senza vederne senza occhi, mi dice Bach in un sabato dal confronto incerto tra il sole, esangue, e la nebbia, ostinata. Ascolto, intuisco, forse addirittura capisco, ma ho la sensazione di non vedere gli occhi, del volto che sto guardando. Non riesco ad afferrarne l'espressione, a comprendere ciò che quel viso mi sta dicendo.