martedì 24 gennaio 2012

Private (2)

Cominciava a diventare fastidioso il fatto che mi dovessi fermare in uno di quei negozi lungo la strada. Purtroppo la via era a senso unico, e i negozi erano sul lato sbagliato. O meglio, ero io a muovermi nel verso sbagliato. E tutte quelle auto parcheggiate lungo il marciapiedi non facevano che peggiorare la situazione.
La cosa singolare era il ripetersi di un'alfa romeo. O forse in fondo non era una coincidenza così eccezionale. In realtà non era nemmeno la stessa, si assomigliavano e basta.
Con la prima ero io a venire da destra, ma era evidente che non mi avesse visto.
L'altra purtroppo procede alla velocità che vuole lei, e non c'è verso di sorpassarla.
Tamburello sul volante le dita, febbrili come le mani di un pianista.
E mi distraggo pensando che chi guida più lento di me è un idiota, chi guida più veloce è un cretino.

giovedì 19 gennaio 2012

Qui manca l'aria.

Diffido di chi si siede con le gambe vicine vicine, a contatto, cosce, gambe e piedi.
Diffido anche di chi si abbottona la camicia fino all'ultimo bottone.
Non me n'ero mai resa conto, ma una mattina in treno mi sono trovata di fronte una faccia nuova, in mezzo a tutti quei volti che alla fine son sempre quelli. Un ragazzo che non ricordavo di avere già visto, e che francamente mi metteva a disagio. E così ho sfruttato il viaggio per cercare di capire cosa in lui mi disturbasse. Era seduto tutto compunto, schiena dritta che appena sfiorava lo schienale, gambe unite, piedi paralleli e a contatto reciproco pure quelli. La camicia era perfettamente abbottonata sotto un maglioncino con lo scollo a V. Completavano il quadro i capelli impeccabilmente pettinati con la riga in parte.
Assodato che non mi ero seduta di fronte a Ken, quello della Barbie intendo, ho pensato che per essere così devi avere qualcosa da nascondere. Non pretendo che questo qualcosa siano una mezza dozzina di cadaveri in giardino, però forse i peluche incellophanati perché non prendano polvere sì.

mercoledì 18 gennaio 2012

Deduzione, induzione e ritorno

E sì che di anni ne son passati, per lo meno una ventina, eppure non scorgo differenze. Quand'ero piccola, mentre si cenava, c'era la tv sintonizzata sul tg1, condotto spesso dalla Gruber, quella giornalista dal cognome strano (e altrettanto strano è che il t9 lo conosca, basisco. Invece non conosce basisco) che introduceva ogni serata col suo inalterabile "Buonaseraaa (piccola pausa), buonasera telespettatori del tg1", sempre sempre uguale a sé stesso, stesse tre "A" sul primo buonasera, stessa piccola pausa, stessa risoluzione nel concludere in scioltezza il saluto.
Dicevo, di anni ne son passati parecchi, è cambiato il canale ma lei è sempre identica, stessi capelli di un rosso tutto suo (dopo il Rosso Tiziano si dovrebbe codificare il Rosso Gruber), stessa espressione del gatto che gioca col topo, stessa disinvoltura da perfetta padrona della situazione. Ultimamente, quando mi capita di guardare qualche puntata del suo programma, il più delle volte mi limito a guardare le figure. Sì, come si faceva da piccoli, con i libretti colorati, prima di imparare a leggere. Guardo le figure. Credo sia una forma subconscia di autodifesa. Se non che qualche sera fa ho involontariamente ascoltato in modo cosciente e consapevole una domanda da lei posta al ministro in studio. Si chiedeva se il ministro ritenesse possibile che un giorno ci si svegli con la notizia che Israele ha dato inizio a un bombardamento nucleare sull'Iran. Faccia di circostanza del ministro. Risposta di circostanza dello stesso. Una via di mezzo tra lo "Sciocchina, la smetta con quei libri di fantascienza!" e il "Ho appena comprato il tappeto nuovo per la mia dépendance antiatomica, sa...".
Ho ripreso a guardare le figure perché tanto avevo imboccato la mia tangente personale.
Non mi interessa sapere se un giorno mi sveglierò e sbirciando oltre la siepe che da tanta parte etc etc vedrò in lontananza dei bengala colorati che in realtà non sono ciò che sembrano e dei funghetti fumosi soffici come cumulonembi. Non mi interessa sapere se questo accadrà. Mi interessa sapere che questo può accadere. Ossia, mi interessa sapere che altri agiscono in modo che può condizionare me, insignificante pedina della bassa padovana.

Ho sempre trovato singolare pensare a un Michael Stipe qualunque che venisse a sapere che mentre lui si sta facendo la barba, una barista di Sottomarina esce a portar fuori la spazzatura e per strada, sul vialetto, fischia At my most beautiful. Sono cose banali su cui fatico a ragionare, dato che chiaramente le persone e i luoghi smettono di esistere non appena mi ci allontano. Allo stesso modo con cui il passato è talmente inconcepibile da rasentare l’irrealtà. E non sto pensando al passato di Giulio Cesare che attraversa il Rubicone, mi basta pensare a me che esco dalla sala parto. In qualità di partorita. Sono irrimediabilmente limitata al “qui e ora”, tutto il resto non riesco ad afferrarlo mentalmente. 
E non riesco ad accettare che il mio “qui e ora” dipenda da qualcuno che dista da me addirittura più di un fuso orario.

mercoledì 11 gennaio 2012

The voyage out

Da anni, credo ormai una quindicina, tengo un blocchetto su cui scrivo le frasi che mi piacciono dei libri che leggo. Devono essere frasi tanto tanto belle, altrimenti la pigrizia ha facile sopravvento. Ormai il blocchetto ha un aspetto piacevolmente vissuto e ingiallito e, va da sé, mi ci sono affezionata come fosse una mia appendice. A ripercorrerlo riconosco i periodi in cui mi colpivano alcune cose più di altre, quindi in qualche modo ritrovo una sorta di ritratto che mi sono fatta nel corso del tempo.
La maggior parte sono frasi che al momento ho trovato interessanti, poetiche o evocative. Per lo più sempre condivisibili. Fino a che un giorno non ho cominciato a leggere un libro nel quale non trovavo frasi condivisibili, ma ne trovavo di mie. La cosa mi ha spiazzata e sono andata a comprarmi la raccolta di tutti i romanzi dell'autrice. Possibilità di plagio? Difficile. Un particolare mi faceva allontanare da questa ipotesi, ossia il fatto che fosse morta nel '41. Questa cosa peraltro mi indispettiva, e molto. Avrei voluto parlarle per dirle che sì, sì, sì, anch'io, è proprio quello che penso ogni volta che sto facendo questo o quest'altro, è così, solo che tu l'hai scritto un po' meglio, ma è così.

Due giorni fa stavo scorrendo dei vecchi post di un blogger che dovrei ricordarmi più spesso di leggere. Pubblica pezzi nuovi abbastanza di frequente, e alla fine me ne perdo parecchi. Fatto sta, ne ho trovati due dove c'erano ancora una volta delle frasi mie. Possibilità di plagio? Difficile. No, questa volta non è morto nessuno, semplicemente io non son mai riuscita a dare forma così lineare a pensieri nebulosi. E quindi stavo pensando che sì, sì, sì, anch'io, è proprio quello che penso ogni volta che sto facendo questo o quest'altro, è così, solo che tu l'hai scritto un po' meglio, ma è così.
E il fatto che fosse vivo, reale, a poche centinaia di chilometri da me mi indispettiva, perché so che a questo punto il problema non è archiviabile con una scusa così di comodo come quella che avevo usato anni fa.

sabato 7 gennaio 2012

Private (1)

Penso che la passione più longeva che mi caratterizza siano i puzzle. Mi piace farli, e potrei passarci su tempi indefiniti. Fin che insistenti richiami esterni e coatti non mi ci separino.

Non ricordo quanti fossimo, ma si parlava a caso. Alcuni argomenti ancora mi vengono in mente. Per esempio, qualcuno tirò fuori le macchine ("...ma non possono funzionare, i carburanti continueranno a salire, non si può tornare indietro, c'è un solo verso"). Altri nominò le auto, cambiando quindi completamente l'oggetto della discussione ("...certo che non ho mai visitato il salone dell'automobile, non c'entra nulla").
Inaspettatamente, l'ospite mi chiese: "Se non sbaglio a te piacciono molto i puzzle, non è vero?". In realtà non so se di domanda vera e propria si trattasse. Per cortesia risposi in modo vago, sentendomi in qualche modo sotto esame, ma non sapendo se una risposta corretta effettivamente esistesse.
"Capisco", l'ospite, di rimando, "ma forse faresti meglio a continuare a dormire".

Ancora mi chiedo che avrà voluto dire.

mercoledì 4 gennaio 2012

Con un poco di zucchero.

In questi giorni di vacanza natalizia sono venuta a passiva conoscenza del fatto che attorno a mezzogiorno, su rai3, si susseguono il programma di Corrado Augias e un qualche documentario targato Geo&Geo. Il primo in genere approfondisce in modo molto molto colto un argomento a caso che spazia tra lo storico, l'artistico, il religioso, il letterario etc etc. Il secondo non ho ben capito che filo segua (forse il fatto di averne visti solo due quarti di puntate, nel senso di un quarto oggi e un quarto due giorni fa, non aiuta), fatto sta che oggi l'argomento era come viene fatto il presepe in un certo paesino del centro Italia. Devo poi essermi distratta un attimo, fatto sta che mi sono ritrovata che si stava descrivendo come la signora Ave prepara il croccante, assieme ad altre quattro signore che armate di abbondante perizia e di parimenti significativa dose di flemma si mettono ai fornelli e creano dolci e dolcetti. La voce fuori campo che descrive il tutto è abbastanza straniante, diciamo che mi richiama quella che potrebbe essere la voce di una persona che si sia appena svegliata da un 15 ore di anestesia totale. Questa stessa voce oggi insisteva molto sul fatto che il croccante sia un dolce dall'origine incerta, ma che ancora oggi viene fatto con prodotti naturali: mandorle e zucchero. Il tutto mentre la buona signora Ave e colleghe rimestavano pentoloni di zucchero bianco. Forse la voce fuori campo, nelle lunghe ore di anestesia, si è persa il dettaglio che lo zucchero bianco è il prodotto finale di una serie di trasformazioni industriali che usano sostanze chimiche altamente tossiche, e che delle povere canna o barbabietola da zucchero poco rimane. Tant'è.
Dicevo, l'argomento principale del giorno, o quantomeno il titolo, riguardava i presepi. Non so di preciso di cosa avesse parlato Augias immediatamente prima, nel proprio programma. Suppongo di qualcosa legato al Terzo Reich. Perché questa conclusione? Per un simpatico dialogo (o per la somma di due monologhi, non saprei quale definizione sia più adatta) svoltosi a casa.
Sono appena entrata in cucina, i miei stanno pranzando e nel mentre guardano la tv. Sigla di chiusura del programma di Augias. Inizio del documentario sui presepi.
Silenzio.
Dal nulla, mio papà: "Beh, d'altronde si sapeva bene che Rommel l'hanno nobilitato gli Inglesi. Lo chiamavano la Volpe del Deserto per darsi un tono, ma era un pessimo generale!".
Silenzio.
Mia mamma: "Mah, ti dirò, a me i presepi sempre allestiti, quelli che poi si tengono lì tutto l'anno, non piacciono granché. Insomma, è luglio e ti trovi il presepe".

Ero tentata dall'uscirmene con un: "Cosa cosa? Hanno messo le volpi nel presepe? Ah, questi Inglesi...", ma ho desistito.