mercoledì 25 settembre 2013

Attesa

Più il tempo passa e più mi accorgo che il 28 settembre ormai è dietro l'angolo. Che fare? L'unica cosa che mi viene in mente è di evitare l'angolo e andare a vivere in un igloo.
Che succederà il 28 settembre? Niente di brutto, anzi, tanto di bello, ma forse non riuscirò a fare avere mie notizie a più di qualcuno, per un breve futuro. Potrei mandarle adesso, che però in quel momento diventerà il passato, e a me non piace viaggiare nel passato, al massimo potrei pensare di andare nel futuro anteriore.
O in un igloo.

mercoledì 18 settembre 2013

Il mio amico George (1)

Ero uscita con George a prendere un caffè al bar. Per chi non sapesse chi è George, beh, basti sapere che quando si è con lui non si può mai dire come andrà a finire. Ovviamente sto parlando della vita. George è uno a cui piace osservare le persone, ma non solo gli piace, il punto è che gli riesce con una naturalezza e un'acutezza che viene da chiedersi quante vite precedenti abbia vissuto e di quante di queste abbia memoria, per dimostrare di saper tratteggiare così rapidamente eppure con così tanta accuratezza chi gli stia attorno.
Ciascuno di noi due era assorto nei propri pensieri, tanto che un osservatore esterno avrebbe potuto credere che fossimo due estranei casualmente seduti al medesimo tavolino, il che sarebbe stato un errore madornale, dato che solo con chi ci è davvero vicino ci si può permettere di tacere e distrarsi. Improvvisamente George mi ha riportato alla realtà contingente invitandomi a osservare una coppia seduta un paio di tavolini più in là. Ha fatto tutto improvvisamente, limitandosi a dire: "Vedi un po', ha proprio sbagliato tutto. Tutto. E continua a sbagliare. Robe da alzarsi, andar lì e leggergli il libretto delle istruzioni". Credo che stesse parlando del libretto di istruzioni della vita.
Qual era il problema? Cercherò di riassumerlo nel migliore dei modi a me possibili. Forse era il compleanno di lei, o magari si era laureata da poco, non ha molta importanza, il fatto è che lui le stava dando un regalo, un pacchetto tirato fuori peraltro con un certo imbarazzo da parte di entrambi, ma fin qui non c'era nulla che si potesse rimproverare ad alcuno. Il problema era il contenuto del pacchetto: se fosse stato un libro, di nuovo, non ci sarebbe stato nulla di male. Ma quelli erano due libri.
La teoria di George era molto semplice: i libri in numero di due si regalano solo in circostanze eccezionali, talmente fuori dal comune che non gli veniva nemmeno un esempio di quali potessero essere queste circostanze. "Pensaci un po', che senso hanno due libri? Forse hai paura che uno sia troppo poco? Ma santo cielo, ti rendi conto dell'idiozia? Troppo poco in che senso? 'Eh, sai, Bartleby lo scrivano dura solo un centinaio di pagine, mi pareva pochino, quindi ti ho messo anche l'autobiografia di Alberto Tomba', capisci? O forse quei due ancora non si conoscono bene, e per aumentare le probabilità di azzeccare i gusti di lei, lui ha deciso di... Ma se non si conoscono bene allora perché regalarsi una cosa così intima come un libro? Ti ricordi che anche tu avevi segnato quella frase... Si amavano, quei due. Si regalavano libri. Sì, mi avevi prestato quel libro e poi mi sono accorto che avevi piegato l'angolo di quella pagina, dove anche io ero rimasto bloccato e ...".
Insomma, la filippica sembrava destinata a continuare su questo argomento ancora per un po', se non che ci siamo accorti entrambi che la situazione stava degenerando ulteriormente: lui le stava spiegando i libri. Va detto che eravamo i soli, dentro al bar, a parte una signora in soprabito bordeaux e cagnolino a riccioli, e che il volume della musica che passava la radio era molto basso. Di modo che potevamo sentire tranquillamente quasi ogni parola della conversazione di quei due. Lui non le stava raccontando le trame, peggio, stava spiegandole perché le aveva regalato proprio quei libri. George era esasperato. "Mio dio, se si conoscono è ovvio che lei capirà da sola il perché della scelta, una volta che comincerà a leggerli. E se non si conoscono... Senti, ti secca se usciamo? Comincia a starmi stretta".
Credo che parlasse della vita.

martedì 10 settembre 2013

Tat Tvam Asi

Venerdì scorso ero in auto con mio papà, e il traffico per le strade era quello che ci si può aspettare in ogni tardo pomeriggio, niente di nuovo. Anzi, forse un po' peggio, essendo venerdì.

- Certo che diventa davvero insopportabile, tutto 'sto traffico, voglio dire. Macchine, macchine, macchine...
- Papà...
- Mh?
- Ne siamo parte.
- Sì.

lunedì 9 settembre 2013

Horror vacui

Mentre me ne sto seduta ad ascoltare la rassicurante ostinazione con cui la pioggia ha deciso di scrosciare da qualche ora a questa parte, mi viene in mente una cosa che mi è capitato di notare di recente, anche se magari, chissà, si verifica da un sacco di tempo. Mi sono accorta che ultimamente va molto l'utilizzo ingiustificato della parola niente a inizio di un discorso, in strutture del tipo E poi niente, *frase*, oppure E insomma niente, *frase*. In genere si ha che la *frase* assume pretese di verità rivelate. Il tutto si verifica per lo più in improbabili massime buttate là a casaccio su social network a casaccio, oppure su blog tenuti da perfetti nessuno (esatto, proprio come questo), che però pensano di sdottorare dall'alto (esatto, non come questo).
Mi produrrò in un paio di esempi di mia invenzione, che tuttavia credo non sfigurerebbero davanti ai vari e poi niente, [...] su cui mi è capitato di inciampare.
E poi niente, ti accorgi che le canzoni degli anni Novanta hanno già vent'anni. 
Oppure vedrei bene anche un E poi niente, ti vengono a dire che non ti puoi nutrire di soli marshmallow perché non hanno vitamina A.
Ma ci si può divertire sbizzarrendosi come si vuole. Il giochino è molto semplice, si pensa una frase e, per quanto idiota sia, la si fa seguire a quelle tre parole di attacco iniziale.
L'obiezione che mi sentirei di avanzare è che perché ci sia un e poi mi aspetterei che ci fosse un e prima, ma l'e prima non c'è mai, il che mi fa tremare all'idea che prima, durante, e dopo, per pensare e scrivere tante idiozie, molti abbiano davvero solo il niente.

venerdì 6 settembre 2013

Spettatrice

Quel mercoledì mattina la stazione era il solito via vai, ma tra spintoni distratti e valigie strattonate malamente riuscì a guadagnare l'ingresso del bar. Era uscita di casa velocemente o, per dirla tutta, aveva fatto male i conti col tempo, e quindi per la fretta non aveva fatto colazione e si era infilata il primo paio di scarpe che le si era parato davanti, e che a metà della vietta del quartiere si era rivelato essere un paio di scarpe che sapeva esserle troppo strette. Ora, realizzato che all'arrivo del treno mancava ancora una ventina di minuti (continuava a fare male i conti con il tempo), non vedeva l'ora di sedersi e ordinare qualcosa di caldo da bere.
Rasserenata dall'aver verificato di aver portato con sé il quartetto della sopravvivenza (composto da, in ordine sparso, chiavi di casa, portafogli, telefono e un libro), poteva concedersi un quarto d'ora di niente che non fosse l'osservare con scrupoloso interesse gli avventori del bar della stazione. Erano rappresentanti delle due solite categorie: da una parte tutti quelli che erano ben abituati a viaggiare e a muoversi di corsa, soldi pronti, scontrino, ordinazione, caffè e cellulare. Dall'altra parte, invece, i viaggiatori sporadici, quelli che trasaliscono a ogni avviso che venga fatto passare per gli altoparlanti e che fanno due volte la fila perché ordinano al banco prima di aver fatto lo scontrino alla cassa. Disinvoltura contro goffaggine. E poi, categoria a sé stante, i controllori e i macchinisti, fieri del fascino della propria divisa, come marinai su rotaie hanno una donna non più in ogni porto, ma in ogni stazione, e salutano le bariste con cenni carichi di promesse.
La tazza di the caldo e l'apparizione di tutti i personaggi che si aspettava di vedere le avevano fatto scivolare addosso quella manciata di minuti che la separava dall'arrivo del treno, del suo treno, quello che veniva a vedere arrivare e ripartire ogni secondo mercoledì del mese. In memoria della sua occasione mancata, in memoria di tutti i treni che non aveva preso, in memoria di, ora sì le venne in mente, quella malinconia viscerale ma al contempo eterea, quel dolce malessere che accompagnava ogni addio.