martedì 19 luglio 2016

Le prime parole gentili

Mi mettono una strana malinconia, sui campi tagliati, le balle di fieno, al mattino presto, o al tramonto.
Niente di definito, una specie di nostalgia confusa, come ricordi proiettati nel futuro.
Mi mettono una malinconia leggera, hanno qualcosa di buono, qualcosa di dimenticato e gentile, come certe parole.

È a chi ti dice le prime parole gentili che appartieni, in mezzo agli estranei.
- T. B. -

lunedì 11 luglio 2016

E.T., stattene a casa

I giornali di qualche giorno fa mi fanno presente che una certa sonda della NASA è arrivata dove doveva arrivare, e mi viene in mente Voyager, il programma. Quello delle sonde spaziali, non quello televisivo.
Suoni. Ci hanno messo dentro dei suoni. Non solo, ma anche. Due ore di registrazioni su un disco, il cui scopo sarebbe quello di farci conoscere, se putacaso un esserino verde in qualche galassia lontana lontana avesse un vecchio grammofono di nonno in garage. E sapesse come usarlo.
È una bella trovata, in fondo, mandare un campione rappresentativo di noi, così uno si fa un'idea e capisce un po' come siamo, cosa sappiamo fare, insomma, il nostro livello. No?
No. No, perché per come la vedo io abbiamo giocato sporco, abbiamo voluto far passare un sottotetto fatiscente per un'adorabile mansarda. E non lo dico tanto per i suoni naturali che sono stati scelti, ma soprattutto per quelli artificiali: al di là dei saluti in un po' di lingue più o meno attuali, è stata scelta una trentina di brani che comprende tre composizioni di Bach, due di Beethoven, una di Mozart e una di Stravinsky. Ecco, a me 'sta cosa sembra molto poco onesta. Perché, caro alieno che sei lì che ascolti il primo movimento del secondo concerto brandeburghese, devi sapere che queste qui sono quattro persone, quattro, su quante?, non lo so, su tantissime, io non ho idea di quante miliardate di uomini siano esistite ad oggi, ma la frazione "quattro su taaaante tante tante" è ridicola, irrisoria, infinitesima, insignificante, quindi mentre sei lì che fischietti il flauto magico devi pensare anche che non siamo tutti così, anzi, devi pensare che non siamo così, sennò rischi di crearti aspettative sbagliatissime, per onestà intellettuale avrebbero dovuto avvisarti che abbiamo anche gli enriqueiglesias e i gigidalessi, che ok che nel '77 ancora non c'erano, ma ci sono sempre stati, con altri nomi, altri sguardi da pesci lessi, altri ritornelli imbarazzanti, ma sono e sono stati molti molti molti di più dei quattro (quattro!) che ti abbiamo mandato.
Mi dispiace, non so quanti anni luce sarei disposta a farmi per sentire come suona Gould, ma, davvero, non è il caso, e non solo perché comunque saresti già in ritardo di più di trent'anni.

giovedì 7 luglio 2016

Il pilota automatico si è distratto

Quell'abituale mettere le chiavi di casa nella tasca destra della giacca è diventato, negli anni, appannaggio del mio pilota automatico, ma lui e io conduciamo vite separate, per cui raramente mi avvisa di aver svolto il proprio compito. Così sono parecchie le mattine in cui mi ritrovo sul pianerottolo a chiedermi oddio oddio oddio le chiavi, le ho in tasca o le ho lascia...?
Finora le ho sempre trovate, lì nella loro tasca, tutti i giorni. Così come, tutti i giorni, metto lo zucchero nel caffè senza pensarci, per poi chiedermi se sia successo davvero e se non stia per bere qualcosa di amarissimo.
Ci sono due azioni che non appartengono più, però, al tutti i giorni, ma che lo sono state per tanto tempo. Così tanto che, per distrazione o per stanchezza, capita che si insinuino ancora nel mio pilota automatico.
Una mi è successa proprio oggi, quando ho portato le mani al viso per togliermi quegli occhiali da vista che non porto più da anni. È come fare un passo pensando di avere uno scalino davanti, ma lo scalino non c'è, e il piede e la gamba e l'equilibrio per un attimo annaspano, così come le dita si sentono per un attimo smarrite nello stringersi attorno a degli occhiali che non ci sono.
L'altra è quando cerco il telefono per chiamarti.