domenica 21 giugno 2015

Non cantate la Luna. (Storia di una richiesta classista)

Un giorno un medico mi rimproverò, non so se in qualità di medico o di confidente, quello che lui giudicava, in tutto o in parte, come un difetto: "Non sei classista, dovresti esserlo". A sua parziale discolpa va detto che non mi conosceva. Io lo sono, classista, e molto, e...
Ma forse è il caso che cominci dal principio.
Mi trovavo, pochi giorni fa, in una sala d'attesa, in compagnia di poche altre persone. La radio era accesa, e da quella radio sentii trasmettere una canzone di un cantante italiano dal cognome metallico. Provai imbarazzo alla stupidità delle parole che stava cantando, sentii quei versi e avrei voluto alzarmi e chiedere scusa a tutti i presenti, non pensiate che io sia d'accordo con quello che sta blaterando quel tizio, non pensiate che apparteniamo alla stessa specie umana, non ne voglio sapere, not in my name.
Da lì, per distrarmi, presi il largo e pensai alle altre idiozie che mi capita di leggere, ai versi non richiesti che vengono condivisi, versi che si potrebbero perdonare a un bambino di pochi anni, ma che in età adulta dovrebbero essere segnati come una tacca di indelebile ignominia, una lettera scarlatta cucita nell'anima (o quel che sia) di chi li ha scritti.

Non cantate la Luna, coloro che lo sanno fare senza essere patetici, ridicoli, emetici, sono quasi tutti morti, understand?, morti, defunti, e dire che i gusti sono gusti è solo un modo sbagliato per negare l'esistenza di un bello e soprattutto, soprattutto di un brutto oggettivi.
Non cantate la Luna, i tramonti, o se lo fate nascondete le vergate carte nella cassaforte dietro quella brutta natura morta (morta, anche lei) in corridoio, perché io sento accartocciarmisi l'anima (o quel che sia) come un foglio di brutta copia da cestinare, e spero che prima o poi vi verrà chiesto di renderne conto. E non è l'argomento, il problema: il problema è l'espressione, non l'argomento.
Così, ogni volta che qualcuno scrive che il mare è fatto di tante gocce, Dio mio!, vorrei prenderlo e affidarlo alla cura Ludwig, bombardandolo di when I look into your eyes, di ascolta il tuo cuore, di cambieremo il mondo, di tutte quelle frasi per le quali mi piacerebbe che le penne esplodessero, che i computer si formattassero da soli per la vergogna, per la mia vergogna.
A meno che gli autori non agiscano consapevolmente, mossi magari da meri motivi pecuniari, o da malcelati istinti goliardici, ma allora perché non musicare, invece di tante abiezioni, un innocuo nonsense?
Era cerfuoso e i viviscidi tuoppi ghiarivan foracchiando nel pedano...
Non cantate la Luna, i tramonti, l'amore, e soprattutto non fate quelle espressioni sofferenti e partecipi, perché sono io, io, che soffro, che mi sento accartocciare, e non mi basta una sonata di Corelli, devo cercare qualcuno che mi tolga la nebbia dai pensieri, dopo aver sentito certe cose.
E questo non è classismo?


Ma io vorrei essere un'aquila
vedere il piano del mondo
che inclina verso di noi
lanciarmi a inseguire il tuo deserto
e i poteri solenni
e le leggi che si inchinano
e le porte dorate

Cominciare di nuovo il viaggio.

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