giovedì 10 luglio 2014

Il mio amico George (8)

Mi capita ogni tanto, per le ragioni più disparate, di fare dei viaggi in treno con George. In genere siamo talmente reciprocamente rilassati e noncuranti, che ci sentiamo perfettamente a nostro agio se la prima cosa che facciamo, una volta seduti in carrozza, è tirar fuori ognuno il proprio libro e isolarci a leggere.
L'ultima volta, tuttavia, mentre ancora eravamo in stazione, in attesa sul binario, George mi mise in guardia dicendomi: "Se durante il viaggio ti accorgi che sono passati almeno venti minuti dall'ultima volta che ho girato la pagina del libro che tengo in mano e che a rigore dovrei stare leggendo, beh, non lambiccarti a cercare il motivo di questa stasi: sto solo ascoltando una qualche conversazione che mi arriva da poco lontano. Cose come quella che mi è capitata mentre venivo qui: "...non che abbia viaggiato tanto, ma per quel poco che ho viaggiato... Sì beh, sono stata anche in Austria. Però bella come l'Italia... Una cartolina, ecco cos'è. Non a caso l'Italia la chiamano Il giardino d'Europa. Eh sì, in Italia c'è tutto... il mare, le montagne, i laghi...". E i miopi!, avrei voluto intromettermi. E la gente!
La gente, dico io, la gente. Sessanta milioni e rotti di bocche che parlano, e buona parte di queste non si lascerebbe toccare nel proprio sentire neanche da lampi e tuoni..."
Gli feci notare, mentre salivamo sul treno che nel frattempo era arrivato, che il suo mi sembrava il lamento del narciso.
Non so se si offese. Ciascuno dei due si nascose dietro a delle comode pagine scritte da altri.

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