domenica 17 giugno 2012

"Non ne vale la pena"

Trovo che l'accostamento nome-aggettivo tendìne spione, che purtroppo non so che figura retorica sia, evochi in modo magistrale l'immagine della situazione che vuole descrivere. D'altronde non si parla di un autore improvvisato, ma dello stesso che si è preso la responsabilità di dire di non sopportare più le persone che mi annoiano anche pochissimo e mi fanno perdere anche un solo secondo di vita. Quell' anche pochissimo nasconde un mondo di individui affetti da una particolare forma di horror vacui, dicono parole per riempire silenzi e vuoti che, lasciati stare così come sono, sarebbero estremamente appropriati.
Insomma, mi piace come scriveva e come pensava Parise, mi dispiace di dover usare il passato.
Tendìne spione è una trovata particolarmente felice e azzeccata, ed evoca all'istante la presenza di qualcuno che, nascosto (o almeno così crede) dietro le tende della finestra osserva inosservato (o almeno così crede) tutto l'osservabile che sta fuori.
Sarei portata a immaginarmi quel qualcuno come una persona mediocre e un po' meschina, che si nasconde, osserva, tiene conto, suppone, costruisce trame e castelli in aria. Però no, alla fine mi son convinta che non sia così. Semplicemente ci sono persone curiose e altre indifferenti a ciò che capita loro attorno. Le prime appena sentono un rumore associabile alla presenza di esseri umani devono controllare se e chi e quanti. Le seconde spesso neanche sentono il rumore. E se lo sentono reagiscono con un: "Beh, se cercano me si faranno vivi".
Il, credo, primo a farmelo notare è stato quell'osservatore impagabile che era Zzac. Aveva una casa molto grande al mare, in un paesetto dimenticato forse non da Dio, ma fortunatamente dagli uomini, un gruzzolo di case e personaggi bizzarri nella loro ordinarietà, come possono esserlo tutti quelli che passano una vita isolati dal resto del mondo. Ogni estate andavo a trascorrervi qualche giorno di buen retiro. Per strada, in auto, raramente Zzac superava i 50 chilometri orari: il rito era quello di immergersi nel contesto in cui si era, evitando accuratamente ogni forma di fretta e velocità. Era lo stesso principio per cui una volta che s'era finito di pranzare non poteva venire in mente di alzarsi subito da tavola, ma si stava a chiacchierare, giocando distrattamente con le briciole del pane o con un cavatappi assolutamente complicato da usare, e ben presto utilizzato come termine di paragone ultimo di inefficienza e scomodità. Sarà stato di design.
Insomma, un giorno stavo facendo due passi con Zzac per una vietta del paese. L'avevo inconsciamente vista, ma senza prestarci attenzione, una vecchietta che s'era affacciata dalla finestra. Ma lui sì, che l'aveva notata, ed era in grado di tratteggiarne perfettamente le caratteristiche: "Facci caso, hanno tutte lo stesso vestitino a fioroni, la stessa permanente azzurrina (strizzando appena gli occhi e sfregando il polpastrello di pollice e indice, quasi a voler rievocare la sfumatura di azzurrino) e puntualmente hanno uno straccio della polvere sempre pronto per essere scosso fuori dalla finestra, sai mai che ci sia qualcuno da controllare".

E quindi le tendine spione mi hanno risvegliato un frammento di malinconia, scritto e mai cancellato in quell'agenda nuova di pelle nera, la stessa, just the same, che ha messo in rima Tony Harrison.

1 commento:

Lamarta ha detto...

Grazie.