mercoledì 18 gennaio 2012

Deduzione, induzione e ritorno

E sì che di anni ne son passati, per lo meno una ventina, eppure non scorgo differenze. Quand'ero piccola, mentre si cenava, c'era la tv sintonizzata sul tg1, condotto spesso dalla Gruber, quella giornalista dal cognome strano (e altrettanto strano è che il t9 lo conosca, basisco. Invece non conosce basisco) che introduceva ogni serata col suo inalterabile "Buonaseraaa (piccola pausa), buonasera telespettatori del tg1", sempre sempre uguale a sé stesso, stesse tre "A" sul primo buonasera, stessa piccola pausa, stessa risoluzione nel concludere in scioltezza il saluto.
Dicevo, di anni ne son passati parecchi, è cambiato il canale ma lei è sempre identica, stessi capelli di un rosso tutto suo (dopo il Rosso Tiziano si dovrebbe codificare il Rosso Gruber), stessa espressione del gatto che gioca col topo, stessa disinvoltura da perfetta padrona della situazione. Ultimamente, quando mi capita di guardare qualche puntata del suo programma, il più delle volte mi limito a guardare le figure. Sì, come si faceva da piccoli, con i libretti colorati, prima di imparare a leggere. Guardo le figure. Credo sia una forma subconscia di autodifesa. Se non che qualche sera fa ho involontariamente ascoltato in modo cosciente e consapevole una domanda da lei posta al ministro in studio. Si chiedeva se il ministro ritenesse possibile che un giorno ci si svegli con la notizia che Israele ha dato inizio a un bombardamento nucleare sull'Iran. Faccia di circostanza del ministro. Risposta di circostanza dello stesso. Una via di mezzo tra lo "Sciocchina, la smetta con quei libri di fantascienza!" e il "Ho appena comprato il tappeto nuovo per la mia dépendance antiatomica, sa...".
Ho ripreso a guardare le figure perché tanto avevo imboccato la mia tangente personale.
Non mi interessa sapere se un giorno mi sveglierò e sbirciando oltre la siepe che da tanta parte etc etc vedrò in lontananza dei bengala colorati che in realtà non sono ciò che sembrano e dei funghetti fumosi soffici come cumulonembi. Non mi interessa sapere se questo accadrà. Mi interessa sapere che questo può accadere. Ossia, mi interessa sapere che altri agiscono in modo che può condizionare me, insignificante pedina della bassa padovana.

Ho sempre trovato singolare pensare a un Michael Stipe qualunque che venisse a sapere che mentre lui si sta facendo la barba, una barista di Sottomarina esce a portar fuori la spazzatura e per strada, sul vialetto, fischia At my most beautiful. Sono cose banali su cui fatico a ragionare, dato che chiaramente le persone e i luoghi smettono di esistere non appena mi ci allontano. Allo stesso modo con cui il passato è talmente inconcepibile da rasentare l’irrealtà. E non sto pensando al passato di Giulio Cesare che attraversa il Rubicone, mi basta pensare a me che esco dalla sala parto. In qualità di partorita. Sono irrimediabilmente limitata al “qui e ora”, tutto il resto non riesco ad afferrarlo mentalmente. 
E non riesco ad accettare che il mio “qui e ora” dipenda da qualcuno che dista da me addirittura più di un fuso orario.

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