martedì 11 settembre 2012

Cosa stavo dicendo?

Va sempre a finire che dei discorsi che si fanno io mi perdo sulle cose non essenziali, su quelle casuali, sui riempitivi senza pretese. Questo non significa che io parli verso gli altri piuttosto che con gli altri, o forse un po' è così, ad ogni modo posso dire che questo non significa neanche che mi dia noia parlare con gli altri anche se a ben guardare non significa nemmeno che non me ne dia. Posso però dire che, nonostante me, mi piace molto parlare con gli altri, a volte anche verso gli altri, benché non nutra molta stima per gli altri. Per lo meno non per molti.
Ci vuole in genere molto poco per capire se una persona sta parlando con me o verso di me, e purtroppo nel secondo caso non sempre lascio perdere. O meglio, se sono in coda alla posta e il tipo che ho vicino comincia a parlare verso di me solo per il gusto di parlare verso qualcuno che dia retta e possibilmente anche forza alle sue lagnanze su quanto lenti siano gli impiegati agli sportelli, beh, in questo caso non solo lascio perdere, ma ostento un'indifferenza granitica e un'imperturbabilità olimpica.
Se invece l'altro sta parlando verso di me nel senso che si è in due, uno dei due sono io e l'altro è una di quelle persone che non si curano molto della propria reazione di risposta, allora non lascio perdere per niente al mondo, e mi ritrovo disposta a portare avanti una conversazione completamente inutile.
In genere chi parla verso può essere ricondotto a due macrocategorie, o per lo meno queste sono quelle che sono riuscita a individuare finora: la prima, formata da tutti coloro che parlano tantissimo e che non è possibile interrompere, magari ci si può provare, a volte si riesce a intrufolarsi e a buttar lì una mezza opinione che porterebbe il discorso su altri lidi, ma niente, appena si chiude bocca riprendono esattamente dal punto in cui si erano, a malincuore, interrotti. La seconda, formata da coloro che invece son ben disposti ad ascoltare, ma in genere si fermano al primo significato di ciò che gli si dice, vanno oltre al senso letterale solo con grossissimi sforzi e possibilmente dopo che gli si è fatto notare che quello appena usato è solo un modo di dire, una metafora, una battuta, uno stavo scherzando.
Ecco, io faccio fatica con entrambe le categorie, ma forse tra le due la seconda è la più difficile da gestire. Dovrei iniziare ogni dialogo premettendo che io condivido solo una parte di ciò che dico, il che è anche sempre più vero. E, sì, finisce che mi perdo sulle cose non essenziali, sulla combinazione dei colori delle maglie delle persone che ho di fronte, sul loro linguaggio buono superficialmente ma perché così pedante?, su accostamenti che non avrebbe senso far notare in quel momento, a meno di sentirmi chiedere in tono scocciato se sto ascoltando o mi sto facendo gli affari miei.
Il mio problema è che sto ascoltando, ma il mio cervello esige che ogni cosa gliene ricordi un'altra, sennò si perde.
Devi ricordarmi qualcosa, sennò ti perdo.

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