venerdì 6 settembre 2013

Spettatrice

Quel mercoledì mattina la stazione era il solito via vai, ma tra spintoni distratti e valigie strattonate malamente riuscì a guadagnare l'ingresso del bar. Era uscita di casa velocemente o, per dirla tutta, aveva fatto male i conti col tempo, e quindi per la fretta non aveva fatto colazione e si era infilata il primo paio di scarpe che le si era parato davanti, e che a metà della vietta del quartiere si era rivelato essere un paio di scarpe che sapeva esserle troppo strette. Ora, realizzato che all'arrivo del treno mancava ancora una ventina di minuti (continuava a fare male i conti con il tempo), non vedeva l'ora di sedersi e ordinare qualcosa di caldo da bere.
Rasserenata dall'aver verificato di aver portato con sé il quartetto della sopravvivenza (composto da, in ordine sparso, chiavi di casa, portafogli, telefono e un libro), poteva concedersi un quarto d'ora di niente che non fosse l'osservare con scrupoloso interesse gli avventori del bar della stazione. Erano rappresentanti delle due solite categorie: da una parte tutti quelli che erano ben abituati a viaggiare e a muoversi di corsa, soldi pronti, scontrino, ordinazione, caffè e cellulare. Dall'altra parte, invece, i viaggiatori sporadici, quelli che trasaliscono a ogni avviso che venga fatto passare per gli altoparlanti e che fanno due volte la fila perché ordinano al banco prima di aver fatto lo scontrino alla cassa. Disinvoltura contro goffaggine. E poi, categoria a sé stante, i controllori e i macchinisti, fieri del fascino della propria divisa, come marinai su rotaie hanno una donna non più in ogni porto, ma in ogni stazione, e salutano le bariste con cenni carichi di promesse.
La tazza di the caldo e l'apparizione di tutti i personaggi che si aspettava di vedere le avevano fatto scivolare addosso quella manciata di minuti che la separava dall'arrivo del treno, del suo treno, quello che veniva a vedere arrivare e ripartire ogni secondo mercoledì del mese. In memoria della sua occasione mancata, in memoria di tutti i treni che non aveva preso, in memoria di, ora sì le venne in mente, quella malinconia viscerale ma al contempo eterea, quel dolce malessere che accompagnava ogni addio.

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