giovedì 16 agosto 2012

La tasca

Avrebbe voluto potersi disincarnare così da staccarsi da alcune parti di sé, del sé inteso sia come corpo sia come quell'altra cosa. Avrebbe voluto non dover rispondere di parti di sé, in primo luogo delle proprie mani, che gli avevano fatto scrivere ciò che lui ben sapeva, e il fatto che tutto fosse partito dalla propria mente era da considerarsi marginale se non addirittura irrilevante, avrebbe voluto staccarsi dagli effettori finali, visibili e riconoscibili, non certo da un grumo di non-intelligenze distribuite al quale, e questa era una sua idea, si attribuivano o troppe o troppo poche responsabilità.
Era un desiderio che a volte gli si riaffacciava alla mente, forse dopo che quella notte si era svegliato da un sogno dove qualcuno lo prendeva per l'avambraccio, e al momento di aprire gli occhi si era accorto che era la propria mano destra che teneva il proprio avambraccio sinistro, ma nel sogno, e ne era ben certo, la mano era di qualcun'altro.
O forse il desiderio andava fatto risalire a quel giorno in cui, in preda ad uno stato di coscienza alterato per via esogena, aveva percepito di essere cosciente di sé, ma di non controllare il proprio corpo, che pure fino a poco prima gli aveva permesso di girare pagine, di salire scale, di scrivere lettere o calciare palloni ogniqualvolta egli lo avesse desiderato; in quel momento aveva avuto paura, tremava come quando la febbre sale improvvisa e si cercano coperte e coperte, sentiva di non avere alcuna autorità sulla mandibola che gli faceva battere i denti in modo convulso, sulle gambe che tremavano incontrollate, sulle mani che non riuscivano ad afferrare alcunché. A malapena era stato in grado di chiederle aiuto, ma una parte di sé se ne vergognava, continuava a giustificarsi come un genitore che tenti di scusarsi per il figlio irrequieto che non ascolta rimproveri e minacce. Lei però in quel momento non poteva prestargli attenzione, si era girata, l'aveva guardato, ne era ben certo nonostante non riuscisse a mettere a fuoco ciò che lo circondava, si era addirittura avvicinata, concedendogli un momento di illusione, ma aveva giudicato la situazione normale e si era allontanata. Fu in quel momento che perse di nuovo i sensi, perse anche il , ma poi non avrebbe saputo indovinare per quanto tempo.
La sensazione e la cognizione gli erano però rimaste e ora, di tanto in tanto, si ritrovava con quel desiderio inespresso e irrealizzabile, di staccarsi temporaneamente da alcune parti di sé.

Avrebbe voluto non rispondere di parti di sé, in primo luogo delle proprie mani, gli effettori finali di ciò che aveva scritto. Non che se ne vergognasse o che rinnegasse quelle righe, non che fossero più penose di altre che gli era capitato di leggere, anzi, ma quelle che trovava scritte da altri erano necessariamente parziali, non si accompagnavano al ricordo dello stato d'animo di quando erano state scritte. Perché, benché egli non scrivesse mai sotto l'impulso dell'emozione, ma sempre a mente il più possibile fredda e asettica, pure ciò che scriveva derivava da un turbamento lasciato decantare.

Avrebbe voluto staccarsi temporaneamente dalle proprie mani, disconoscerle, lasciare che si muovessero come se non fossero sue. Ma era più semplice nasconderle in tasca.

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