lunedì 8 settembre 2014

Magnifiche assenze

A volte il destino cinico e baro (o la sorte, o il caso, oppure in mancanza d'altro anche un aneurisma aortico può andar bene) ci costringe ad allontanarci più o meno definitivamente da persone con cui avremmo preferito condividere ancora tanta parte del nostro tempo.
Altre volte, invece, il destino di cui sopra (senza dimenticarne le eventuali alternative) ci toglie graziosamente di torno dei piombi che mai avremmo voluto ci accompagnassero nemmeno nelle circostanze più brevi e insignificanti.
Solo che mentre la prima situazione è tale per cui ci si accorge di stare perdendo qualcuno di importante, e giù lacrime e malinconia e buffi progetti e promesse di ci rivediamo presto, nel secondo caso per lo più non ci si accorge nemmeno dell'immenso regalo di cui ci viene fatto dono.
Qualche anno fa mi capitò di trovare una ragazza che avevo conosciuto per meri motivi di condivisione dello stesso tetto durante uno dei miei periodi scolastici (tutto questo ridicolo giro di parole solo per non dire se abbiamo fatto assieme l'asilo, le elementari, le medie, il liceo o l'università, e se le abbiamo fatte effettivamente nella stessa classe o solo nella stessa scuola). Il destino (o, insomma, quel che è) si era premurato di far divergere la linea della vita di lei rispetto alla mia, peraltro senza che io me ne fossi mai resa conto. Insomma, durante quel nostro casuale unico incontro mi chiese cosa stessi facendo. Di fronte a domande di questo tipo tendo a essere sincera, ma una voce dentro di me mi stava scongiurando come da in fondo a un pozzo di non farlo, di fingere afasia, amnesia o qualsiasi cosa facesse rima con tecnica per scappar via, purché la rima non prevedesse la risposta corretta, dottorato in bioingegneria.
Mi rendo conto che il mio atteggiamento può sembrare estremamente arrogante e snob. Va detto però che mi trovavo di fronte a una di quelle persone che, durante un dialogo, hanno il maledetto vizio di terminare l'ultima parola di ogni frase del loro interlocutore. Tipo quando a scuola, durante un'interrogazione, non si sapeva la risposta, il prof di turno, scocciato, la diceva al posto del meschino impreparato, e quest'ultimo si aggrappava alla speranza di dimostrare che il Sapere ce l'aveva sulla punta della lingua.
- Ma insomma!, almeno sapere che Il cinque maggio è dedicato alla morte di Napol...
- ...oleone!
Imbarazzo. Si tratta di un vizio che sopporto meno ancora dell'essere toccata sull'avambraccio da qualcuno che mi stia spiegando qualcosa. Ecco, chi volesse farmi impazzire (o infangare la mia fedina penale) sommi le due cose: il tocco sull'avambraccio e l'eco sull'ultima parola.
Errore su errore, non fui così pronta da dire undottoratoinbioingegneriaetu?, ma le lasciai il tempo di incalzarmi chiedendomi cosa facessi, durante il mio dottoratoinbioingegneriachebello. Ricordo ancora la sensazione, mentre le farfugliavo una risposta poco convinta: sapevo che avrei anche potuto dirle una frase priva di qualsiasi valore semantico, che ne so?, qualcosa del tipo Ma niente, studio quale debba essere il diametro ottimale di una lancetta di un tramezzino in modo che il bucato venga fuori particolarmente croccante quando fuori la temperatura scende sotto i dodici metri verdi, e lei avrebbe detto -etri verdi continuando ad annuire in modo esagerato per tutto il tempo.
Perché mi è venuto in mente questo episodio? Mah, forse perché il destino mi sta velatamente ricordando che ogni tanto dovrei ringraziarlo.
Sempre che si limiti a essere destino e non un aneurisma aortico.

Nessun commento: