sabato 23 agosto 2014

Lettera dal mio amico George

Sai, c'è dell'edonismo nel partire, o anche solo nel progettarlo.
Non parlo del partire per un viaggio o una vacanza, piuttosto del lasciare definitivamente una situazione di vita per ricominciarne un'altra, altrove.
Ho resettato il mio anziano e glorioso portatile, con cui ti sto scrivendo, in due occasioni, quando mi ero accorto che il peggioramento delle prestazioni andava di pari passo con l'ingarbugliamento di cartelle, file, programmi inutilmente installati e disinstallati. Raggiunta la soglia dell'incontrollabilità, sono ricorso al reset, al defibrillatore, all'elettroshock. Questo per il portatile, ma per me, dico, per me, come faccio a spegnermi e riaccendermi?
Ricordi, quando eravamo piccoli? Tu, allora, a differenza di adesso, avevi un paio d'anni meno di me. Ricordi quando mi arrabbiavo con qualcuno? Sono sempre stato permaloso, non vendicativo, ma permaloso sì, e se mi arrabbiavo con te, o con i miei o con i tuoi genitori, allora cominciavo a progettare fughe rocambolesche, e voglio vedere se allora non vi accorgerete che vi manco, e se non verrete a cercare il caro George, ma sarà troppo tardi! No, non ero patetico, ero un bambino.
E poi, al liceo? Allora avevi ormai la mia età, tu macinavi vasche in piscina, sembravi una stampante ad aghi, avanti, indietro, avanti, indietro, ... Io mi crogiolavo in fughe più melodrammatiche, più definitive, più penosamente adolescenziali, vorrei vedere se allora non vi accorgerete che vi manco, e se non direte che era un ragazzo così in gamba, ma non avrete neanche un luogo dove provare a cercarmi. Non ero patetico, nemmeno allora, avevo sedici anni.
Ora che tu hai un paio d'anni più di me, ora sarei patetico, ma ho da tempo sostituito l'abisso con la partenza.
Conosci la mia vanità, la mia malcelata supponenza, non ti stupirà quindi il paragone che ti sto per fare. Io mi sento un enzima: catalizzo processi, per poi allontanarmi da ciò che ne deriva.
Riesci a mettermi un suffisso in -asi?

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