lunedì 22 luglio 2013

Lo scaffale del pianto

Ci sono luoghi nei quali non si dovrebbe piangere, a meno di essere dei bambini ai quali il genitore di turno stia dicendo di no. Si tratta dei negozi di giocattoli. Grandi o piccoli che siano, generalmente riconducono le persone (adulte) che vi entrano a uno stadio preadolescenziale di meraviglia e svagato smarrimento, ed è quindi estremamente improbabile che una persona diciamo dell'età superiore al paio di lustri o poco più si lasci andare al pianto.
Una decina di giorni fa ho accompagnato Lamarta in un negozio, per l'appunto, di giocattoli. Forse il termine negozio è riduttivo, perché scaffali e corsie erano sufficientemente numerosi magari non per perdersi, ma sicuramente perché il tempo cominciasse a scorrere nei soliti verso e direzione, ma con un modulo improvvisamente aumentato. Per nostra fortuna potevamo muoverci con totale calma, di clienti c'eravamo quasi solo noi e quei pochi altri che c'erano non avevano certo la frenesia che potranno avere tra pochi mesi, in prossimità del Natale.
Stavo quindi gironzolando tra peluche e puzzle, tra bambolotti, secchielli e palette, e lo stavo aspettando, perché da molti anni mi accompagna, non saprei davvero dire con precisione da quanti, dal momento che non ricordo che età avessi quando mia nonna, la mamma di mio papà, mi raccontò quel ricordo: di lei e di mio papà, neonato o poco più, a cavallo della fine della seconda guerra mondiale (parole che a scriverle, oggi, a meno che non si stia facendo un tema di storia, suonano irreali, per lo meno a me), lui che piange perché non riesce a bere il latte, e lei che non ha lo zucchero per renderglielo più appetibile. Lo aspettavo, il ricordo, che silente ma puntuale è arrivato; e così, tra i libretti di filastrocche e i vestiti da principessa, altrettanto silente ho pianto.

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