lunedì 23 aprile 2012

Corri, Forrest!

Quanta parte di un paio di corde vocali medie viene persa, ogni giorno, in domande inutili? Questo dubbio mi gironzolava in testa stamattina. Potrei rigirare la questione, chiedendomi quanta parte di questa tastiera o delle mie povere sinapsi venga consumata in ragionamenti insulsi. L'attenuante è che per lo meno non necessito di un interlocutore costretto, suo malgrado, a prestare attenzione e a rispondere.
Pensando alle situazioni particolarmente fastidiose, non può non venirmi in mente la stazione dei treni. Da quando, vicino all'ingresso e al tabellone degli orari, è stata aperta una libreria, a quasi ogni ora del giorno è inevitabile imbattersi in tre/quattro ragazzi che avvicinano gli ignari viaggiatori per chiedere quale sia l'ultimo libro che hanno letto. Dico ignari viaggiatori, perché il pendolare che passa tutti i giorni ormai ha messo in atto abili strategie di difesa, dal soffiarsi il naso mentre percorre i dieci metri incriminati, al simulare concitate conversazioni telefoniche, al correre ad abbracciare il primo sconosciuto fingendo improbabili riunioni familiari. Personalmente, quando un povero intervistatore tenta di approcciarmi, rispondo in modo molto banale uno sbrigativo: "Scusa ma ho il treno".
E fuggo.
Tempo fa mi trovavo in stazione con Cinque. La sua tattica è di spiazzare l'altro con una risposta apparentemente sensata, ma in realtà completamente fuori contesto. Nel suo caso, l'intervista diventa:

Intervistatore: Scusa, posso chiederti il titolo dell'ultimo libro che hai letto?
Cinque: Ce l'ho già.

E fugge.
Un giorno si era in stazione assieme, e ciascuno ha dato la propria risposta standard. Mentre io sono rimasta sorpresa dalla genialità della sua, Cinque manifestava interesse per la ragionevolezza della mia. E si rifletteva su come "Scusa, ma ho il treno" possa diventare la vera risposta, ossia come possa essere interpretata come il titolo di un libro. Ovviamente bisognerebbe specificare l'autore, ma dopo Scusa ma ti chiamo amore e Scusa ma ti voglio sposare, la scelta non può che essere questa

Intervistatore: Scusa, posso chiederti il titolo dell'ultimo libro che hai letto?
Intervistato: Scusa ma ho il treno, di Moccia.

E si fugge.

Domande inutili a persone inutili per scopi inutili. Mi chiedo che senso abbia chiedere cose a certa gente. E ora non mi sto riferendo a quegli individui ai quali madre natura ha fornito dosi omeopatiche di intelligenza, dialettica, spirito critico e altre facezie del genere.
Molto più semplicemente, sto pensando ai bambini. Piccoli. Bambolotti di pochi mesi che ti guardano come se volessero dirti chissà cosa, ma che le contingenze del momento costringono a non esternare opinioni e giudizi. E ciò nonostante ci sono adulti (spesso facenti parte della categoria di cui sopra) che si ostinano a interrogare con domande idiote i poveri neoarrivati.
Forse però non è così male, forse si tratta di un allenamento. Perché poi per tutta la vita ci si sente porre domande dalla comprovata inutilità.
Ancora si deve imparare a scappare sulle proprie gambe che arriva la classica amica di famiglia, la vicina, la cugina della dirimpettaia, a porre domande retoriche. "Mamma che bel bambino, me lo dai un bacino?".
No. Non te lo do un bacino. Hai visto che guancia hai? Hai notato che ti sei toccata il viso con le mani, mezzo minuto fa? E che con quelle mani hai tenuto per quaranta minuti il carrello del supermercato, che prima di te era stato preso da quel tipo in cravatta e raffreddore che continuava a starnutire? E io dovrei darti un bacino? Lo sai che il mio sistema immunitario è ancora in rodaggio? Stammi distante e non chiedere cose del genere. Né ora né mai più.
Poi si passa al "Cosa voi fare, da grande?". Io ricordo che rispondevo che volevo fare la pittrice. Penso di essere uno dei pochi esseri umani a non aver mai risposto "L'astronauta!" a una domanda del genere.
E poi si continua. Si continua per tutta la vita, con cose del tipo "Quali sono le province del Molise?", "La dialettica di Hegel è aperta o chiusa?", "E dopo la laurea cosa farai?", "Come va?".
Età diverse, fastidiose domande diverse. Tutte inutili. O quasi.

E fuggo.

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