domenica 18 agosto 2013

La paura dell'Acqua

Se serve un pretesto per parlare delle proprie paure, ne ho avuto uno circa una decina di giorni fa, anche se non mi permetterà di parlare di tutte le mie paure. Io, per esempio, ho paura delle persone e di me stessa, e di me stessa con le persone e delle persone con me. Cosa, questa, che condiziona non poco le mie relazioni con gli altri. Ad ogni modo, il pretesto che ho avuto un paio di settimane fa non mi darà l'occasione per parlare di questa mia paura, che quindi mi limiterò a nominare e via. La paura di cui voglio parlare è quella del mare, o dell'acqua, o forse di entrambi. Da piccola, quando avevo tre / quattro anni, piangevo disperata a ogni lavaggio di capelli, non volevo sentire l'acqua sul viso, negli occhi, mi spaventava. Anni dopo, durante le vacanze estive, il timore che provavo nel sentire l'acqua del mare che, nel mio camminare incerto verso il largo, piano piano arrivava a bagnarmi prima le gambe, poi le cosce, la pancia e poi basta perché mi fermavo, era tale da riuscire a ricordarlo ancora adesso.
Poi decisi, da sola, di imparare a nuotare. Ci riuscii, certo, e velocemente; macinavo vasche su vasche, sempre però con la consapevolezza che non avevo imparato a non aver paura. Ancora adesso sogno spesso di essere in un luogo chiuso, dove un po' alla volta l'acqua, e sempre di acqua di mare si tratta, comincia a salire.
Due settimane fa, ed ecco il pretesto, stavo scendendo in Puglia in treno. Ero all'altezza di Pescara e guardando fuori dal finestrino mi sono accorta che vedevo l'acqua dell'Adriatico senza che ci fosse nulla tra di essa e il treno: ero seduta nel lato del corridoio, quindi non potevo sporgermi più di tanto, a meno di schiacciare il ciarliero sconosciuto che mi stava vicino. Fatto sta, mi trovavo in una posizione per la quale guardavo fuori e vedevo subito acqua. Mare. Ed è sempre puro sgomento ciò che quell'azzurro mi instilla, mentre io ci provo a contenerlo tutto in uno sguardo.
Il giorno dopo ero seduta su uno scoglio, ipnotizzata e quasi (ancora) spaventata dal rumore, questa volta, il rumore delle onde che, benché calme, sbattevano sugli altri scogli attorno. Era (ancora) sgomento al pensiero della noia apparente di sere eterne cadenzate da quel battito costante, al pensiero della solitudine soverchiante di tutto quel mare inafferrabile, al pensiero di quelle onde che sanno solo cancellare le orme, testimoni di un passato labile che verrà dimenticato.

Gabbiani.

1 commento:

Anonimo ha detto...

... è maestoso, il mare