domenica 19 agosto 2018

Ministro della Divagazione e dell'Inviluppo

Per svolgere certi lavori, o per arrivare a svolgerli, credo sia inevitabile ricorrere con costanza alla menzogna e con altrettanta costanza abdicare alla propria coerenza, ammesso di averne mai avuta.

La menzogna. Se si vuole conquistare la fiducia di chi dovrà decidere se votarci o meno, e in questa conquista ci si deve confrontare con altri che promettono cose evidentemente irrealizzabili, la strada più facile è alzare la posta, e promettere a propria volta cose altrettanto irrealizzabili ma ancor più altisonanti. L'alternativa sarebbe promettere cose sensate e plausibili, ma dato che si conoscono i propri polli, e che si sa che essi amano abboccare alle mirabilia, ci si adatta alle regole del gioco, si finisce col mentire, probabilmente poi ci si abitua a farlo. E sia.
L'incoerenza. Magari mentre si promettevano le idiozie di cui sopra non si perdeva occasione di screditare gli avversari, ma se dopo aver tirato le somme su chi ha promesso di più e meglio ci si trova nella necessità di stringere accordi proprio con uno di loro, allora i precedenti colpi bassi vengono dimenticati sia dall'accusato sia dall'accusatore, tra pantagruelici banchetti di tarallucci e vino. E sia.

C'è altro su cui invece non riesco a dire un "E sia".
Sentivo un giornalista chiedere a un'alta carica dello Stato di render conto di un tragico recente episodio. In risposta la suddetta alta carica si è messa a blaterare su argomenti completamente fuori tema, snocciolando dati sulla diminuzione dei furti, degli sbarchi, della disoccupazione, mancava solo il calo del colesterolo medio pro capite.
L'abbiamo fatto tutti, credo, l'ho fatto anche io, ma avevo quattordici anni, la professoressa mi stava interrogando sull'argomento x, e io x non lo sapevo, ma invece di tacere dignitosamente ho cominciato a parlare dell'argomento x+dx, sentendo tuttavia crescere un certo senso di disagio, perché non solo non sapevo ciò che mi era stato chiesto, succede, ma stavo anche cercando di fare fessa una persona, sperando che non si accorgesse che le stavo parlando di altro. Stessa scena vissuta assistendo ad alcuni esami orali all'università, stesso imbarazzo per lo studente che tipicamente con scarsa disinvoltura tentava di fare lo gnorri, mentre un'espressione felina si dipingeva sul volto del professore di turno. Non si fa, è un espediente di un'antipatia rara, già a quattordici anni, ancora di più a venti. A quarantacinque anni è spregevole, se lo si fa da ministro sussistono ulteriori aggravanti. Chiedo ponti e mi danno sbarchi, Cristo!, perché?
Per un attimo ho immaginato con un piacere sottile che quel giornalista fosse il mio professore di analisi, lo vedevo togliere freddamente il microfono a metà frase alla presunta alta carica, guardarla con sufficienza e disprezzo, e con un sorriso glaciale farle capire l'inutilità del suo barcamenarsi tra dati e informazioni non richieste. Le avevo chiesto del ponte. Converrà che non posso darle un 18. Si presenti, se crede, alla prossima legislatura. Ma non sottovaluti l'idea di cambiare interessi. 

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