martedì 12 settembre 2017

La spesa di montagna e la spesa di città

M abitava in un paesino di montagna.
Forse quello che io definisco paesino non era poi neanche così -ino, tant'è, M ci abitava, e per la precisione abitava in un bel condominio, davvero curato, elegante, una sistemazione apparentemente invidiabile se si era disposti a soprassedere sul fatto che di quel condominio M abitava l'appartamento al quinto piano, una bella vista, certo, da finestre e terrazzino, ma bisognava confrontarsi con l'evidenza per cui il condominio in questione non aveva ascensore, era elegante, sì, ma senza ascensore né montacarichi e, per quanto fosse una sistemazione provvisoria, M sapeva bene ormai che ogni volta che fosse andata a fare la spesa avrebbe poi dovuto vedersela, da sola, con quei cinque piani di scale, quelle dieci rampe da salire scarrozzandosi dietro borse e pacchi, e a poco sarebbe valso lamentarsi, c'erano le bottiglie d'acqua da portare per un centinaio scarso di scalini, la cosa andava fatta contando sulle proprie gambe, sulle proprie braccia, e questo era tutto. Vero è che M non era certo il tipo di persona che si sarebbe fatta scoraggiare da quello che forse avrebbe definito come un dettaglio, anzi, abituata ad arrangiarsi com'era, sarebbe addirittura stata disposta a vedere la situazione come una sfida quotidiana.
Ricordo quando andai a trovarla: pensavo di essermi portata una valigia leggera, ma già al terzo piano dovetti rivedere le mie stime.

C abitava in città, al piano terra di una bella palazzina ristrutturata di recente.
Ricordo quando andai a trovarla: stava sistemando nella dispensa la spesa appena fatta, ma era infastidita, si lamentava con me per essere dovuta andare da sola al supermercato, in effetti lei odiava fare la spesa da sola, insisteva a farmi notare che ci andava solo con suo marito, perché lei odiava dover portare le borse, odiava che fossero così pesanti, pertanto no, non ci andava mai da sola, ma solo quando suo marito... La guardavo parlare, ma smisi di ascoltarla; la guardavo muovere la bocca e sistemare le melanzane e le zucchine nel frigo, la guardavo e pensavo a M e alle sue dieci rampe, poi pensavo a me che di rampe ne ho solo due ma che la volta che devo portarmi in casa qualcosa di un po' più ingombrante del solito tiro giù qualche santo, anche se il santo di turno non s'è mai accollato manco una misera sporta, finisce sempre che m'arrangio, e pensavo anche che quando aiuti qualcuno devi fare molta attenzione per non rischiare di renderlo un incapace, e intanto continuavo a guardarla senza più ascoltarla, parlava e sistemava, e io la guardavo e pensavo ai fatti miei, non avendo più alcun interesse per ciò di cui si lamentava, e pensavo che se c'era un aggettivo che non avrei mai usato per descrivere M sarebbe stato proprio incapace, mentre C, di fronte a me, col gatto che con un tempismo davvero infelice aveva deciso che quello era il momento adatto per strusciarsi sulle sue caviglie, contribuendo peraltro alla mia distrazione, C, dicevo, stava facendo una memorabile ammissione di disposizione all'incapacità, e una ancor più memorabile dichiarazione di ottusa indelicatezza, a differenza del gatto, che decise di venire ad acciambellarsi sul divano dove m'ero sistemata.

Rumore di fusa.



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