mercoledì 8 giugno 2016

To be titled

Le sue dita avrebbero percorso ancora innumerevoli tastiere, ma senza mai più farne uscire le note di quel brano.
Se l'era promesso anni prima, quando ancora si compiaceva nel sentirsi chiamare Maestro, e da quel giorno mai era venuto meno all'impegno preso. Quanti pianoforti avesse suonato, da allora, su quanti sentieri di ebano e avorio si fossero fatte strada le sue dita, forse egli stesso non sarebbe stato in grado di ricordarlo. Ciò che avrebbe ricordato, invece, era la dedizione con cui aveva evitato che quei percorsi bianchi e neri lo conducessero, magari approfittando di una sua piccola distrazione, a muoversi nuovamente sulle orme del brano che si era precluso.
Era dai tempi del conservatorio che non ritornava a Padova. Tutti, in famiglia, avevano camminato per quei corridoi dove risuonavano arpeggi, accordi e stonature: suo padre per primo, e poi suo fratello, diplomatosi proprio nell'anno del centenario. Era quindi toccato a lui, il più naturalmente dotato e scostante della famiglia, e a chiudere il cerchio Sara, sua sorella. Ma lui se n'era già andato a Torino, a farsi chiamare Maestro con una cadenza che un poco alla volta aveva imparato a sopportare.
Sbirciando oltre le tende della camera d'albergo vide un cielo tappezzato di nuvole che avevano tutta l'aria di voler mantenere le sinistre promesse di cui sembravano essersi fatte carico. Vide anche che in venticinque anni di assenza la sua città aveva avuto modo di farsi trovare diversa da come lui l'aveva lasciata, e lo sferragliare del tram che stava passando poco lontano gliene diede ulteriore conferma.

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