martedì 12 maggio 2015

Il mio amico George (17)

Stavo per arrendermi ad andare a dormire, quando mi accorsi che il telefono, dal tavolo dove l'avevo appoggiato, vibrava con infinita minaccia e lieve ronzio. In realtà la minaccia non c'era, si trattava di George. Con lui funziona spesso che quando non c'è vorresti che ci fosse, e viceversa. Insomma, come con la maggior parte delle persone.
"Mia cara, meno male che non stavi dormendo, mi è venuta in mente una risposta alla tua domanda di giovedì scorso".
Mentre cercavo con scarso successo di ricordare cosa mai avessi potuto avergli chiesto il giovedì precedente, George già aveva cominciato a condurmi lungo quel sentiero, lastricato con la dialettica del peggior leguleio, che egli sa percorrere con amabile disinvoltura.
"È come correre, è come leggere. Per alcuni è necessario, qualcuno ci si diverte, qualcuno lo fa senza impegno. C'è chi ci sente dentro più serotonina che nella cioccolata, c'è chi lo fa per forza. E c'è chi decide di non farlo, piuttosto di uscire una domenica pomeriggio a farsi una corsa su un prato sarebbe disposto... Ricordi?, me l'avevi letta tu quella storia dove si parlava delle domeniche pomeriggio, col loro terribile senso di svogliatezza che comincia a instaurarsi verso le quindici, quando ci si rende conto di aver fatto tutti i bagni e le docce che era possibile fare, di aver fissato con aria vacua tutti gli articoli di giornale che era possibile fissare (evitando accuratamente di leggerne i contenuti), di non poter impedire alle lancette dell'orologio di avvicinarsi inesorabilmente alle sedici, a quel momento fatidico che segna l'inizio della lunga, tetra ora del tè dell'anima. Dicevo, c'è chi è disposto a passare un pomeriggio del genere, se l'alternativa è uscire a correre, perché stiamo parlando di persone che non amano correre. O leggere. O dipingere. O vivere. Non sono attività adatte a chiunque, rischiano di diventare un peso molto più gravoso di quel che si riuscirebbe a portare".
Mentre mi parlava, stavo guardandomi con aria distratta le linee sui palmi delle mani.
Dal mio silenzio capì che crollavo di sonno, così mi salutò, soddisfatto per aver messo un punto fermo sul mio vecchio punto interrogativo.


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