martedì 5 maggio 2015

Come in fondo sto facendo già da un po'

Mi divertiva studiare la fisiologia umana. Mi affascinavano certi meccanismi, certe finezze di cui ero evidentemente inconsapevole portatrice. I movimenti automatici appresi, per esempio, quelli che inizialmente richiedono volontà e concentrazione, ma che dopo svariate ripetizioni si automatizzano, diventano più facili ed eleganti, lo schema motorio procede per conto proprio e noi, nello svolgere quella particolare azione, possiamo concederci il lusso di concentrarci sui dettagli, o di non pensare a niente e lasciarci andare, o di immaginare obiettivi più alti rispetto a quelli iniziali. La volontà, se interviene, lo fa solo per interrompere qualcosa che in realtà potrebbe benissimo andare avanti da solo, facendoci risparmiare energia, delegando ai centri nervosi inferiori ciò che la corteccia può permettersi di ignorare.
Servono molte ripetizioni, ovviamente, prima che questo avvenga. Poi, un po' alla volta, l'abitudine smussa ciò che era nuovo, per quanto fosse impegnativo, nel bene o nel male, e ci fa accettare l'imprevisto, l'inaccettabile, l'innaturale (dubito che siamo stati progettati e ottimizzati per, che ne so?, andare in bicicletta, giusto per dirne una).
Nutro una singolare e innocua invidia per tutti coloro che sanno essere così serici nei confronti dell'inaspettato, coloro che sanno muovercisi dentro scivolando come agile seta, naturalizzandolo con arrendevole noncuranza.

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