mercoledì 15 aprile 2015

La palla di stoffa

Giulio frequentava ormai da tre anni l'asilo. Era un bimbo sveglio, curioso, a volte taciturno, ma sempre accompagnato da un'espressione sorridente che trasmetteva con gli occhi, neri, neri come la pece, tanto da faticare a distinguere la pupilla dall'iride.
Andava volentieri all'asilo, non solo perché era un bambino socievole, ma anche perché per quanti giocattoli avesse a casa, là ne trovava di nuovi e diversi, e poco importava se gli toccava condividerli con gli altri, tutto era di tutti, semplicemente.
Un giorno, rovistando in uno scatolone, trovò una palla di stoffa colorata. Che non fosse nuova era fuor di dubbio, solo che evidentemente nessuno ci aveva mai giocato negli ultimi tempi. Giulio la tirò fuori e la mostrò agli altri bambini, che cominciarono a lanciarsela, a sprimacciarla, insomma a farne ciò che ciascuno avrebbe fatto con una palla di stoffa.
Giulio pensò che gli sarebbe piaciuto portarla via con sé: non voleva tenersela, solo giocarci un po' da solo, in silenzio. Non era molto grande e così, finita la giornata, prima che sua madre arrivasse a prenderlo, riuscì a infilarla nello zainetto senza farsi notare.
Arrivato a casa, andò diretto nella propria cameretta. Tra i vantaggi di essere il più piccolo di tre fratelli c'era quello, o almeno così lui pensava, di riuscire a passare relativamente inosservato. Relativamente a sua sorella, senz'altro, che trascorreva i pomeriggi a studiare letteratura inglese, chissà perché la appassionava così tanto, chissà a cosa le sarebbe servita, nell'ingenuità dei suoi cinque anni Giulio non riusciva a intuirne uno scopo, riusciva solo a sentirla che, anche in quello stesso momento, ripeteva a voce alta versi a lui incomprensibili e vani ("...had they but courage equal to desire?").
Ma si sentiva piacevolmente inosservato anche relativamente a suo fratello, che stava passando l'età della polemica tarda adolescenza: già entrando in casa l'aveva sentito battibeccare con suo padre, dicendogli che "...alla fine vedrai che Dio sparirà in una nuvoletta di logica!".
A Giulio poco importavano sia i vanesi sproloqui di suo fratello, sia i versi misteriosi di sua sorella. Gli bastava starsene tranquillo a giocare un po' da solo. Tirò fuori la palla di stoffa dallo zainetto; nel prenderla in mano si accorse che tra le cuciture si apriva un forellino dentro cui era incastrato un anello di plastica. L'anello oppose inizialmente un po' di resistenza, ma poi si lasciò tirare, facendo così srotolare un filo che a propria volta fece partire la musica di un carillon. A Giulio sembrò una musica strana, come se l'avesse già sentita mille volte, come se gli ricordasse qualcosa di antico, ma poteva essere possibile che un bambino di cinque anni conservasse dei ricordi così profondi?
Quando il carillon si fermò, Giulio volle ascoltarlo ancora, e ancora, e ancora, e tanto tirò l'anello di plastica, e con esso il filo, che alla fine lo ruppe.
Giulio aveva rotto il gioco. O forse sarebbe stato più corretto dire che il gioco si era rotto. All'atto pratico, la differenza tra le due frasi sarebbe stata insignificante.
Il giorno dopo, quando riportò la palla di stoffa all'asilo, ovviamente nessuno si accorse della differenza, dato che a nessuno era mai passato per la testa che dentro la palla ci potesse essere un carillon.
Tutto tornò quindi al più rassicurante degli equilibri.

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