lunedì 16 febbraio 2015

Dove si parla del pan di via

Mi scrive, LP, chiedendomi “Mi scriverai di te?”.
È la medesima richiesta che mi viene spontanea quando ho bisogno di rifugiarmi in una realtà altra. In alcune situazioni preferisco starmene nella mia tristezza, nel mio pianto inconsolabile (perché, per prassi letteraria, il pianto ha da essere inconsolabile) e andare giù giù fino a prendere la spinta, fulcro sull’avampiede, come in piscina. Ma in altre sale da dentro un “Raccontami di te, distraimi, parlami di cose che esulino da me, raccontami le storie che ami inventare”.
Mia cara, raccontarti di me, di questi giorni? Dell’eterno brindisi che perpetuo di attimo in attimo all’idea della sliding door presa e di quella persa? O preferisci che ti intrattenga scrivendoti della mia altrettanto quotidiana battaglia personale per cercare di capire cosa ci sia dietro le dinamiche del traffico, la mattina? Perché oggi in tangenziale non c’era nessuno? Tutti in settimana bianca? Qualcuno mormora di vacanze di carnevale. Ma esistono davvero? Insomma, dov’erano tutti? A volte ho la sensazione che loro sappiano qualcosa che io ignoro, e che quel qualcosa faccia oscillare i tempi di percorrenza di quei pochi chilometri che faccio la mattina dai 10 minuti di oggi, tutti lisci ai 90 all’ora, alla mezz’ora di, chissà?, domani, contemplando tutte le possibili gradazioni temporali. Ricordi quando Pennac diceva che non siamo noi a portare il cane a fare pipì fuori, due volte al giorno, ma che è il cane a invitarci a cinque minuti di riflessioni quotidiane? Ecco, forse loro sono come il cane che non ho, mi obbligano a un intervallo tutto mio ogni mattina. Ma non capisco, loro, dove si nascondano in giorni come questo, mentre di solito mi circondano come… Ricordi il racconto di Calvino? Te ne avevo parlato? Quello del tizio in auto, inseguito da un killer armato di pistola e incolonnato come lui nel traffico, a poche auto di distanza? E nell’alienazione del traffico, l’inseguito comincia a ragionare sul rapporto tra spazio e velocità, e poi è tutta una discesa di pensieri sempre più articolati che lo portano a convincersi che anche le altre auto si stiano inseguendo, o stiano scappando, e che egli stesso pure sia non solo inseguito, ma anche inseguitore, e così proietta fuori di sé la paura che lo perseguita, e tutti, tutti, lui compreso, diventano parte di una catena senza inizio fatta di innumerevoli coppie inseguitore-inseguito.

Perché ti sto parlando delle macchine in coda, quando invece ti volevo proporre una teoria? Ieri ho assaggiato per la prima volta un dolce sardo. Da ieri non ho fame. Non sto mica male, eh, anzi!, solo non ho fame. Zero. E stasera in palestra ho corso come credo di non aver fatto mai. Correvo e correvo, e più correvo e più pensavo che avevo voglia di correre. Ricordi il pane degli elfi? Il pan di via? Forse no, il fantasy non è il tuo genere, e non è nemmeno il mio, ma fa lo stesso. Noi le chiamiamo lembas, o pan di via, e sono più nutrienti di qualsiasi cibo fatto dagli uomini, e senza dubbio di gran lunga più gradevoli delle gallette, dicono gli elfi nel libro di Tolkien. Chiunque mangiasse un pezzetto di quelle lembas poteva intraprendere viaggi lunghissimi, senza soffrire fame o stanchezza. Lembas. Non ti pare un suono più sardo che elfico? O forse i sardi sono elfi? O forse i dolci sardi danno alla testa?

Perché ti sto parlando del pan di via quando invece ti volevo dire che… Come in ogni palestra, anche in questa nuova ci sono personaggi degni di attenzione, ma riderne da soli non fa lo stesso effetto. Ricordi (ricordi, ricordi, ricordi, quante volte ti sto chiedendo se ricordi?) i nostri eroi? Ecco, qui ora non c’è L’Ultimo dei Mohicani (così da noi soprannominato per una vaga somiglianza, ma in realtà era rumeno), non c’è neanche Jenny (così da noi soprannominato per una terribile maglietta con Jennifer Lopez in posizione neanche tanto ambigua) che spaccava le macchine con la sua forza sovrumana, però c’è Jimmy (così da me soprannominato perché così si fa chiamare), e anche lui ti strapperebbe più di una risata, col suo modo di ammirarsi i bicipiti ipertrofici, paiono prosciutti, Sono due chili e tre, che faccio, lascio?

Perché ti sto parlando di narcisi ridicolmente gonfiati quando in realtà ti volevo chiedere quando andiamo a ballare? C’mon, baby, come quella sera al Tunnel, facendo mattina senza neanche passare dal via. C’est la vie, cherie.

Balliamo.

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